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Pupo sogna Sanremo: "Penso già al dopo-Baglioni"

Lo showman protagonista di Strafactor ci prende gusto e punta al Festival. "Sono più vero di tanti altri. E al pubblico piaccio per la mia sincerità"

Carlo Antini
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Strafactor, Sanremo e una vita sopra le righe fatta di successi e cadute, vizi e slanci di generosità. Pupo (all'anagrafe Enzo Ghinazzi) è sempre stato un vulcano di idee e iniziative. Anche negli anni della crisi nera e anche adesso che è tornato ad essere una sorta di Re Mida della televisione. Con un sogno nel cassetto di cui parla senza peli sulla lingua. Pupo, da qualche settimana la vediamo su Sky in Strafactor. Come si trova nella veste di giudice? «Molto bene. Mi viene naturale perché nella vita ho sempre frequentato artisti un po' “strafactor” (ride, ndr). I paesi della Toscana pullulano di personaggi come questi. Insomma è un po' come tornare alle origini. In ogni caso io, Elio e la Dark Polo Gang non possiamo essere considerati davvero giudici perché questi artisti vanno oltre il giudizio. Al massimo siamo un tramite nei confronti del pubblico ed è divertente proprio per questo». Come va la convivenza con Elio? «Io e lui abbiamo una vita parallela. Ci conosciamo da anni anche grazie alla Nazionale Cantanti. È come se fosse l'inizio di un nuovo modo di fare varietà in televisione, sulla linea del surreale e strizzando l'occhio a programmi come “Quelli della notte”». Negli ultimi anni lei è sempre più impegnato sul piccolo schermo. Com'è cambiata la televisione? «C'è stata una grande evoluzione, soprattutto nel campo della fiction dove stanno emergendo attori e registi di grande rilievo. Il settore dell'intrattenimento, invece, segna qualche difficoltà. I reality, ad esempio, hanno preso tutto lo spazio ma a me non fanno impazzire. Finora non ho mai partecipato perché non amo la condivisione e la promiscuità. Ma oggi la televisione sta andando in quella direzione. L'unica cosa che resiste sono i grandi eventi come gli show di Fiorello. Solo lui riesce ancora a fare grandi numeri con il varietà». Nel suo passato anche tante partecipazioni a Sanremo. Oggi cosa pensa del Festival? «Anche il Festival si è evoluto molto in questi anni ed è diventato innanzitutto uno spettacolo televisivo. Nessuno va contro Sanremo e per non portare a casa un successo bisogna essere proprio incapaci». Lei ci tornerebbe sul palco di Sanremo? «Dal 2010 non mi sono più presentato perché non mi vedo come artista in gara. Al contrario, il mio desiderio professionale è quello di fare il direttore artistico. Insomma di essere il dopo-Baglioni. Vorrei dare al Festival un taglio più internazionale soprattutto nella scelta dei brani. Vorrei ascoltare canzoni che possano avere una chance di imporsi all'estero. Oggi c'è attenzione solo nei confronti di rap e trap. Invece ci sono canzoni come “Su di noi” o “Sarà perché ti amo” che vengono ancora suonate dai giovani a distanza di anni e che sono state veicolate proprio da quella vetrina». Come spiega il grande successo che lei riscuote sul piccolo schermo? «Credo che il segreto sia la confidenza che ho con la telecamera di cui non sento affatto il peso. Forse tutto questo deriva dal fatto che la vita mi ha dato la possibilità di trasformare il peggio dei miei racconti e delle mie scelte e così oggi risulto più vero di altri. Odio la falsa modestia e per questo aggiungo che il mio successo potrebbe derivare anche dalla memoria e dal mio bagaglio culturale. La televisione ha bisogno di personaggi che abbiano una cultura generalista. In ogni caso davanti alle telecamere essere se stessi paga sempre. E io sono stato un bugiardo seriale solo nei confronti delle donne». A proposito di donne, lei vive con la sua compagna Patricia ma è ancora sposato con sua moglie Anna. Come si sta con due donne? «Beh intanto tengo a precisare che non si tratta di una vera e propria convivenza con due donne, nel senso che viviamo in due case separate. Allo stesso tempo, però, capita di trascorrere insieme feste e compleanni. Succede da quasi trent'anni e ormai fa parte del nostro menage familiare, del nostro equilibrio. Le mie donne hanno un buon rapporto e, spesso, ci pensiamo in tre. La verità è che ho incontrato due donne straordinarie che vogliono difendere a tutti i costi quello che hanno costruito. La nostra è una storia vera, fatta di amore e sofferenza e più passa il tempo più diventa normale». Ma è tutto rose e fiori o c'è anche qualche difficoltà? «Direi che le difficoltà sono raddoppiate e sicuramente non è uno stile di vita che consiglierei agli indigenti. Ma io non potrei più pensare ad una vita senza una delle due e credo che anche per loro sia la stessa cosa». Lei ha raccontato in un libro la sua dipendenza dal gioco d'azzardo. Cosa consiglierebbe a chi ne è ancora una vittima? «Mi considero un sopravvissuto. Nella vita ho avuto la fortuna di incontrare donne eccezionali come mia madre, mia sorella e le mie figlie. Sono stato un giocatore patologico e credo di averlo ereditato da mio padre. A 25 anni ero miliardario e a 35 avevo perso tutto e mi avevano pignorato perfino i diritti d'autore. Per me uscirne era quasi impossibile ma oggi sono tornato a stare meglio di quando avevo 25 anni. È un percorso difficile e tortuoso ma con tanta sofferenza si può trovare una via d'uscita». La sua «Gelato al cioccolato» è il manifesto di un'epoca. Qual è il suo segreto? «È un'opera musicale pop che è riuscita ad andare oltre il suo significato. È entrata nel mito. All'inizio aveva un altro testo poi un discografico pensò al gelato al cioccolato e qui entrò in scena Malgioglio che scrisse il testo definitivo. E chissà che il viaggio in Tunisia sia solo una leggenda...».

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