Festa del Cinema di Roma
Martin Scorsese e l'omaggio all'Italia: il mio film mancato con Fellini
Rossellini, Antonioni, Pasolini, De Sica, Olmi, Germi, Rosi, Visconti e Fellini: ci sono tutti i maestri del neorealismo italiano tra i nomi che hanno influenzato il cinema di Martin Scorsese. Lo racconta lo stesso regista statunitense nell’incontro con il pubblico, organizzato dalla Festa del cinema di Roma per conferirgli il premio alla carriera 2018. Padre di una delle correnti cinematografiche più importanti della storia, la New Hollywood, Scorsese ha ammesso di avere cercato i riferimenti per il suo cinema - che ha contribuito a cambiare completamente la settima arte negli Stati Uniti - nei capolavori italiani degli anni ’50 e ’60. «Ho visto tutti questi film - ha raccontato Scorsese - nel giro di un paio d’anni, quando arrivarono a New York, e mi hanno letteralmente cambiato la vita: sono arrivati in un periodo per me molto formativo e mi hanno influenzato tantissimo. All’inizio non li pensavo neanche come film: li vedevo in tv, a casa, e mi apparivamo come stralci di vita vera». Da Divorzio all’italiana il regista ha preso le idee per lo stile di Quei bravi ragazzi: i movimenti della macchina attraverso cui vengono espressi umorismo e arguzia. In Toro Scatenato ha seguito l’esempio di Paisà e La presa del potere da parte di Luigi XIV, in cui Rossellini riduce tutto all’essenziale. Da Olmi ha attinto a piene mani i temi delle aspettative e delle richieste della società che cambiano dopo una guerra, per farle sue in Taxi driver. Guidato dalle domande del direttore artistico Antonio Monda, Martin Scorsese ha parlato del suo amore per il cinema italiano per un’ora e mezzo alle oltre mille persone presenti nella sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica. Da Ladri di biciclette a Roma città aperta, da Il gattopardo a L’eclisse, il regista premio Oscar ha tessuto le lodi di un cinema che conosce alla perfezione. Ha scelto nove film particolarmente significativi per lui e, uno a uno, li ha esaminati nel dettaglio. «Accattone di Pier Paolo Pasolini - ha ricordato - fu un’esperienza molto potente. È stato il primo film in cui c’erano persone con le quali sono riuscito a identificarmi: le capivo, mi riconoscevo in loro. Di quel film poi mi colpì la santità: le persone di strada, ci dice, sono più vicine a Cristo di chiunque altro». Umberto D. di Vittorio De Sica invece colpì Scorsese per l’idea di fare un film su una persona anziana. «Era la scelta giusta per mostrare quanto fossero cambiate le cose: quest’uomo è per strada, nessuno si prende cura di lui. Eppure pochi anni prima la società era diversa e le persone anziane venivano rispettate e prese in grande considerazione». Fino ad arrivare a Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, che Scorsese definisce «un’esplosione di emozioni». «Quel film è tutto il contrario - spiega - di quello che ci insegnano in America, cioè di non mostrare mai i propri sentimenti. Ma quella madre che piange disperata era una figura che riconoscevo perché vivevo in casa con i miei nonni siciliani». La passione del regista statunitense per i capolavori neorealisti è arrivato a tutta la sala. Anche a Paolo Taviani, che a fine incontro gli ha consegnato il premio alla carriera. «Nel tuo lavoro - gli ha detto - sei aiutato dal grande amore che hai per tutto il cinema: quello del presente e quello del passato». E poi da parte di tutto il pubblico, Taviani lo ha ringraziato per i suoi film: «Martin Scorsese fa parte di quei pochi registi che con le loro opere ci aiutano a capire chi siamo» Al termine dell’incontro con il pubblico di questa sera, Martin Scorsese ha rivelato che stava per lavorare con Fellini: «Ci siamo incontrati alcune volte negli anni ’70 e, agli inizi degli anni ’90 stavamo preparando una produzione insieme: dovevamo fare un documentario - ha raccontato il famoso regista americano - la sua versione di un documentario. Federico aveva già tutto pronto: sceneggiature, attori, fotografia... poi purtroppo con la sua scomparsa ovviamente non si fece più nulla».