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Una vita da Imagination: "I talent show fanno danni"

Leee John incontra a Roma le stelle di domani. E le mette in guardia. "Sbagliato pensare che sia tutto facile. Il segreto è la gavetta"

Carlo Antini
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A 61 anni la sua voce è ancora brillante e potente come più di trent'anni fa. Leee John è stato il cantante e frontman degli Imagination, band dance-soul che ha conquistato le classifiche di tutto il mondo nei primissimi anni Ottanta. Basta citare brani come «Just an illusion», «Music and lights», «Changes» e «Body Talk» per comprendere la portata planetaria del successo di un collettivo che ha sempre reso la parte visuale uno dei suoi punti di forza. Leee John ha appena visitato Roma per prendere parte a una master class dedicata agli studenti di musica. Per trasmettere la sua passione e, chissà, anche per svelare qualche trucco e segreto a chi sogna di fare delle sette note il suo mestiere. Leee John, perché è qui in Italia? «Sono venuto per parlare con gli studenti della mia vita e degli Imagination. Incoraggerò i ragazzi e cercherò di far migliorare la loro musica. Oggi ci sono troppi talent show che insegnano ai giovani cose sbagliate». Perché ce l'ha coi talent show? «Perché fanno credere che si possa ottenere tutto velocemente, come schioccare le dita. Danno una cattiva impressione di cosa vuol dire lavorare nell'industria musicale. La musica è un lavoro duro e lungo che presuppone impegno, programmazione e costanza. Io, ad esempio, all'inizio ho suonato persino nelle sale Bingo e ho fatto il cameriere-cantante. Esibirsi nelle sale Bingo era molto divertente perché c'era tantissima gente che veniva a vederci. Suonavamo tra una conta di numeri e l'altra e, in genere, si trattava di ex cinema o teatri molto grandi. Oggi questa gavetta non si fa più. In un minuto e mezzo non si può capire chi ha davvero talento e chi no. Spesso chi conquista un successo effimero cade nel dimenticatoio dopo poche settimane. E questo è pericoloso». A chi vi siete ispirati per il nome degli Imagination? «All'epoca al numero 1 in classifica c'era John Lennon con la sua “Imagine”. Stavamo pensando a quale potesse essere il nome migliore per noi e in radio stavano trasmettendo proprio quella canzone. Non abbiamo avuto alcun dubbio. È nato tutto da lì». Tra le vostre maggiori hit c'è «Just an illusion». Qual è il segreto di quel successo? «Non mi sono mai fatto questa domanda. Effettivamente è difficile capire perché. Sicuramente è riuscita a sintetizzare meglio di altre lo spirito del tempo. È una canzone speciale e chi l'ascolta rimane stregato». Tra i tratti distintivi degli Imagination c'erano costumi orientali o da antichi romani. Come nasce l'idea di quell'immagine? «La musica degli Imagination è nata alla fine del punk e all'inizio della new wave. Era un momento in cui ogni musicista cercava di distinguersi, di essere diverso dagli altri. Durante un tour eravamo a Roma e cercavamo i vestiti per un servizio fotografico. Ci guardammo intorno e vedemmo quei costumi. Il gioco era fatto. Da lì in poi ci imitarono in tanti». A proposito, nella dance contemporanea in tanti imitano il suono e le atmosfere degli Imagination. Cosa pensa di questo grande ritorno? «Lo vivo come un complimento alla nostra musica. Ma la storia va sempre avanti e non mi piace guardare indietro. Da qualche anno ho riscoperto il gusto per la musica suonata completamente in acustico, con basso, batteria, chitarre e poche tastiere. Gli strumenti reali sono tutta un'altra cosa e vorrei continuare su questa strada». Tra le tante sperimentazioni a cui si è dedicato in questi anni c'è anche il cinema. Cos'ha fatto per il grande schermo? «Ho girato sei documentari da regista. L'ultimo si intitola “Flashback” e racconta la storia della black music inglese degli ultimi cento anni, Imagination compresi. È una sorta di monumento alla musica nera britannica. Altri documentari li ho girati in Zambia e Sud Africa per aiutare l'associazione “SOS-Children”. Così posso mettere la mia popolarità al servizio di chi ha bisogno». Sul fronte musicale a cosa si sta dedicando adesso? «Ho appena pubblicato l'album “Retropia”, con dodici brani e alcune riletture molto originali come la versione gospel di Highway to Hell degli AC/DC. È un album che mescola tanti generi diversi, dal soul al jazz e al funk. Rappresenta molto bene l'eclettismo dei miei interessi». Quali sono i personaggi a cui si è ispirato nella sua crescita? «Ce ne sono tanti ma la prima che mi viene in mente è Ella Fitzgerald. Con lei mi piacerebbe fare un duetto immaginario. Sarebbe meraviglioso. E poi ci sono tutti gli artisti della Motown. Quando i miei si sono separati, con mia madre ci siamo trasferiti da Londra a New York e lì ho scoperto una serie di musicisti che sarebbero diventati fondamentali. Poi ci sono Billie Holiday, Louis Armstrong, Santana, Dizzy Gillespie e Eddie Kendricks». Cosa pensa di Roma e dell'Italia? «Mi piacciono tanto, soprattutto per il cibo. La cosa strana è che sembra di stare ai Caraibi. Se ti danno appuntamento alle 11, poi diventano le 12. Amo anche Venezia e Trieste. Roma l'ho trovata cambiata, soprattutto nell'architettura. La sua cosa migliore è la musica». Ce l'ha un sogno nel cassetto? «Mi piacerebbe recitare in un ruolo drammatico perché non l'ho mai fatto. Nella musica, poi, vorrei registrare un album di world music, accompagnandomi a musicisti che vengono da diverse parti del mondo. Insomma sono una persona curiosa e mi piace poter scoprire e imparare. E continuo a farlo ancora oggi».

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