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Jerry Calà: "A Carlo devo tutto. Anche quella scarica di ceffoni di Virna Lisi sul set..."

Jerry Calà in

Davide Di Santo
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Quando stamattina (ieri, ndr) ho visto il telefono speravo fosse una di quelle fake news che ogni tanto girano. E invece è tutto vero. Sono senza parole». Jerry Calà, lei era molto legato a Carlo Vanzina, dai tempi dall' esordio cinematografico con i Gatti di vicolo miracoli. «Lui è stato quello che ha trasformato il nostro cabaret in cinema. Ci vide al teatro tenda di piazza Mancini nell' 80. Avevamo diverse proposte per fare dei film ma accettammo quella dei Vanzina perché erano ragazzi come noi, anche se erano romani e noi eravamo cresciuti nella scuola milanese. Ma Carlo non basava il suo cinema solo sulla romanità, la sua forza è stata anche quella di frequentare altri ambienti. Ad esempio Cortina, Forte dei Marmi, i ragazzi milanesi, tutte fonti di ispirazione che poi ha trasmesso ai suoi attori». Su Facebook ieri ha scritto: gli devo tantissimo. «È vero. Gli devo tantissimo, forse tutto. Dopo Arrivano i gatti e Una vacanza bestiale, Carlo venne da me insieme Enrico e mi disse che io e Diego Abatan tuono avevamo la stoffa per fare i protagonisti. Appena lessi il soggetto de I fichissimi impazzì e nonostante avessi un contratto firmato con Nicola Carraro della Vides (l' attuale marito di Mara Venier, ex moglie di Calà, ndr), mi sono fatto liberare per firmato con loro. I fichissimi è ancora uno dei film più redditizi del cinema italiano con il maggiore incasso rispetto al costo. Da lì è partita la mia carriera nel cinema che è proseguita con Vado a vivere da solo, sceneggiato dai due fratelli che avevano fatto esordire alla regia Marco Risi, il figlio di Dino. Carlo ed Enrico avevano creato una grande famiglia con noi comici, come Diego, Cristian De Sica e tutti gli altri». Che persona era Vanzina? «Stupenda. Gentilissimo, premuroso, un amico sempre pronto a venirti in aiuto. Anche sul set. Si preoccupava di tutti, anche delle comparse o degli attori che avevano poche pose. Una grande persona, e un grande regista. Arrivava la mattina e aveva in testa tutti i dettagli. E gli attori erano contenti, perché si finiva sempre presto di girare. Dalla grande scuola del padre Steno e dell' apprendistato con Monicelli aveva preso i lunghi piani -sequenza e quello sguardo ironico e spietato sulla società». Il pensiero va a due film di culto come Vacanze di Natale e Sapore di mare... «Non lo dico perché ero uno dei protagonisti, ma quei due film sono capolavori assoluti. Hanno 35 anni e ancora vanno in prima serata. Vuol dire che il pubblico, anche quello giovane, li ama. In questi due film c' è qualcosa di speciale». Qual è l'ingrediente segreto? «Carlo lasciava gli attori liberi di improvvisare fuori dal copione, perché l' obiettivo era far ridere il pubblico. Ma nello stesso tempo riusciva a far emergere l' aspetto malinconico, come in Sapore di male. Quel mio sguardo triste e sognante nella scena finale del film me lo ha tirato fuori lui. Mi spiegò quello che voleva e prima di girare mi disse: "Faccio un carrello in avanti e lo zoom indietro. Questa la giriamo alla Sergio Leone, vedrai che servizio che ti faccio". A ripensarci mi viene un nodo in gola. Non sapevo neanche della sua malattia, era da qualche tempo che non lo frequentavo». Però non era amato dalla critica. Cosa ne pensa? «Un giorno Renato Pozzetto mi vide triste per una stroncatura ricevuta. Mi disse: "Ue Jerry, quando iniziano a parlare bene preoccupati"». Che ricordo le è venuto in mente quando ha saputo della notizia? «Sul set di Sapore di mare ci divertivamo come matti. C' è una scena in cui Virna Lisa mi dà uno schiaffo. Era già buona alla seconda ma Carlo ce l' ha fatta ripetere all' infinito: si divertiva perché ero in soggezione davanti a una diva come lei. Ogni ciak mi arrivava un ceffone, con la Lisi che mi diceva "Scusa tanto!", e lui che rideva dietro alla cinepresa! Preferisco ricordarlo con un sorriso. Carlo sarà sempre nel mio cuore».

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