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È morto Philip Roth, voce d'America ed eterno Nobel mancato

L'autore di "Pastorale americana", Pulitzer nel 1998, aveva 85 anni

Davide Di Santo
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A 85 anni si è spento Philip Roth, leggenda della letteratura statunitense. L'autore di "Pastorale Americana", eterno premio Nobel mancato, è morto a seguito di un problema cardiaco. Interprete straordinario dell'America contemporanea, Roth è stato uno dei più importanti e acclamati scrittori della modernità. Era nato a Newark in New Jersey nel 1933. La morte di Roth, definito "la voce della sua generazione" è stata confermata dal suo agente Andrew Wylie. Secondo un'amica dello scrittore, Judith Thurman, citata dal New York Times, la morte sarebbe dovuta a un arresto cardiaco. Talento sfrontato e prolifico, Roth raggiunse la fama nel 1969 con "Lamento di Portnoy", incentrato sulla tormentata sessualità di un giovane ebreo della classe media oppresso da una madre rigida e possessiva. Nel 1998 vinse il premio Pulitzer per il suo acclamato romanzo "Pastorale americana". Unico "neo" nella carriera, non avere mai agguantato il Nobel per il quale è stato dato per favorito per anni. Le origini ebraiche - Lo scrittore, che ha vissuto a New York e nel Connecticut, divenne celebre per aver scandagliato l'esperienza ebraico-americana nei suoi oltre 30 romanzi. Roth disse di aver raggiunto un punto di svolta quando si rese conto che avrebbe potuto usare il suo stesso mondo come materia prima letteraria, che si trattasse della sua educazione o della sua città natale Newark, in New Jersey. "Non puoi inventare dal nulla, o io certamente non posso", affermò in un documentario del 2011. "Ho bisogno di una realtà, mi basta strofinare due pezzi di realtà insieme per dare vita ad un fuoco di realtà". Ma la gigantesca statura di Roth sulla scena letteraria deriva dall'universalità del suo messaggio, spiegata alla perfezione con le sue stesse parole: "Non scrivo ebreo, scrivo americano". Non scriveva da sei anni - Abbandonò la scrittura nel 2012, a due anni dal suo ultimo romanzo 'Nemesis', annunciando di non avere più le energie per gestire la frustrazione che accompagna la creazione letteraria. Una decisione ulteriormente giustificata negli ultimi anni: "Raccontare storie, una cosa che è stata preziosa per tutta la mia vita, non è più centrale. E' strano, non avrei mai immaginato che una cosa del genere potesse accadermi", aveva spiegato al quotidiano francese Libération. Un breve ritorno sulle scene, però, nel gennaio scorso quando ci tenne a precisare, dopo le tante corrispondenze trovate da pubblico e stampa, che il personaggio del suo libro "Il complotto contro l'America", l'aviatore con simpatie naziste Charles Lindbergh eletto presidente degli Usa, non aveva alcuna analogia con Donald Trump. Lindbergh, aveva spiegato al New Yorker, era "un grande eroe" pieno di "sostanza", mentre Trump è un presidente "ignorante sui temi che riguardano il governo, la storia, la scienza, la filosofia e l'arte e incapace di esprimere o riconoscere sottigliezze e sfumature", utilizzando "un vocabolario formato da 77 parole".

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