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Peppino Di Capri: "Addio alle scene nel 2019"
Sessant’anni di musica, una carriera sulla cresta dell’onda e l’amore del pubblico che lo accompagna da sempre. Peppino Di Capri da «Champagne» fino all’annunciato addio alle scene. Peppino Di Capri, il 2018 coincide con i 60 anni di carriera. Come si sente a questo giro di boa? «Non pensavo di arrivare a quest’età. Mi dicevo: prima o poi finirà e invece la mia timbrica è rimasta fedele e mi sono convinto ad andare avanti. Mi sento in perfetta forma ma sto pensando di ritirarmi prima di compiere 80 anni. Insomma vorrei dare l’addio alle scene nel 2019». Non sentirà la mancanza della musica? «Ci sono colleghi che continuano a cantare anche dopo aver compiuto 80 anni. Chiaramente finché il pubblico ti vuole si va avanti. Ma io vorrei garantire sempre il massimo della professionalità. D’altra parte mi rendo conto che ci sono ancora tanti ragazzi interessati a quello che faccio. Me ne sono accorto quando è uscito al cinema “Natale col boss”. I bambini e i genitori mi fermavano per strada». Sta pensando a come celebrare il suo addio alle scene? «Sarebbe bello farlo con una serata tv in onda un sabato sera d’autunno. E poi magari potrebbe essere anche mandata in replica il 31 dicembre. Comunque mai dire mai, magari poi ci ripenso e continuo a cantare». Intanto come ha deciso di festeggiare i 60 anni di carriera? «Abbiamo organizzato un concerto in programma il prossimo 21 maggio al Teatro San Carlo di Napoli dove festeggerò e brinderò insieme al mio pubblico. Poi sto finendo di preparare un album che si intitolerà “60 anni ma non li dimostra” e che uscirà entro la fine dell’anno». Qual è il suo bilancio di questi 60 anni di musica? «Ho avuto la fortuna di avere soltanto tre anni di calo che sono coincisi con l’era del dopo-Beatles, tra il ’66 e il ’70. A quel punto mi sono chiesto cosa fare e se era davvero il caso di proseguire. L’ispirazione me l’ha data Moustaki». In che senso? «Mi ricordo che in quei giorni ero a Capri ed ero anche in crisi con la mia prima moglie. Un giorno in televisione vidi Moustaki e rimasi letteralmente fulminato. Proprio in quel momento decisi di ripartire e ricominciai a fare la gavetta. Insomma riconquistai il mio pubblico e da lì non mi sono più fermato. Ho ricostruito la mia credibilità e sono anche riuscito ad aumentare i fan senza farmi coinvolgere dalle mode del momento». Nel ’65 si è esibito anche come supporter nella tournée dei Beatles in Italia. Cosa ricorda di quei giorni? «Mi chiesi cosa avrebbero potuto lasciare come traccia qui in Italia. Per me fu un’occasione per aggiornarmi tecnicamente. Il loro suono invadeva la sala ed era tutto ben organizzato. Imparai ad amare la professionalità. Tutto questo rimase come tratto distintivo nella mia carriera. Tutti i miei colleghi sanno che sono preciso e pignolo quando si tratta di musica e concerti». Tra i suoi tanti meriti anche quello di aver lanciato il twist in Italia. Come ha fatto ad anticipare così tanto i tempi? «Da ragazzo amavo ascoltare le radio di tutto il mondo. Ero un vero appassionato. Registravo quello che andava in onda e, quando la sera tornavo dal night, riascoltavo le novità. Insomma ero una sorta di talent scout. Credevo di essere amato solo come cantante confidenziale ma ripensandoci “Let’s twist again” è stato il mio disco più venduto». A proposito di scoperte, cosa pensa dei talent show? «È tutto troppo esagerato. Si iscrivono 60mila persone ma alla fine vince soltanto uno. E gli altri concorrenti eliminati come ci rimangono? I talent mi sembrano più una fabbrica delle illusioni che una reale opportunità per i ragazzi». Cosa bisognerebbe fare per migliorare il sistema dei talent? «Innanzitutto la selezione dovrebbe essere più mirata. Poi bisognerebbe far capire ai ragazzi che non è così importante cantare in inglese. Se fossi giovane oggi non parteciperei a un talent show ma cercherei di farmi conoscere esibendomi nei locali in concerti un po’ più lunghi. Senza giocarmi tutto in una sola canzone. Insomma farei tanta gavetta, proprio quella che adesso non vuole fare più nessuno. Vogliono tutti vincere facile». In lei hanno convissuto due anime: il cantante di twist e lo chansonnier confidenziale. Quale la rispecchia di più? «Il pubblico mi riconosce nelle atmosfere sentimentali ma le dirò la verità: dentro di me vive un’anima rock molto presente che in pochi sospettano. Forse solo Adriano Panatta...». Perché Adriano Panatta? «Con Adriano ci incontriamo ogni estate a Capri e ogni volta che mi sente suonare mi dice: Peppino basta con “Champagne”, tira fuori il rock». Lei ha il record di partecipazioni a Sanremo. Le è piaciuto il Festival di Baglioni? «È stato un bel Festival ma faccio fatica a ricordare le canzoni in gara. Sono brani che non restano nella memoria. Ho sentito grande impegno sui testi ma a restare impresse sono le melodie che si fischiettano. Nei giorni del Festival le sentono tutti ma dopo tre mesi non se le ricorda più nessuno». Ci ha mai pensato a tornare sul palco dell’Ariston? Non potrebbe farlo proprio l’anno prossimo per festeggiare degnamente l’addio alle scene? «Sinceramente non ci avevo pensato ma sicuramente non ci tornerei in gara. Non mi sentirei a mio agio. Tornerei come ospite, magari per ricevere un premio alla carriera. Dopo 60 anni penso di meritarmelo, non crede?».