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Addii e partenze in aeroporto, "Hello Goodbye" spicca il volo con Pablo Trincia

Giada Oricchio
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"Hello Goodbye" ha debuttato ieri in seconda serata su RealTime, canale 31 del digitale terrestre. Il programma si svolge al Terminal 1 dell'aeroporto di Malpensa dove Pablo Trincia avvicina persone in attesa, in partenza o in arrivo. Sostanzialmente per farsi i fatti loro e mettere al corrente il telespettatore della vita privata di emeriti sconosciuti (ma non solo) che transitano per lo scalo milanese. Siamo di fronte a un nuovo “Magic people show”, al condominio da reality show incurante del bisogno di amore, ma alla ricerca continua di denaro come descritto da Giuseppe Montesano nell'omonimo romanzo? Dopo 10 minuti di “Hello Goodbye” la risposta è no. Per fortuna. L'idea è buona e soprattutto delicata. Ben strutturata e realizzata. Il programma dura un'ora e scivola via come un sorso d'acqua fresca. La prima puntata (sono cinque in tutto, nda) è partita in sordina. Pablo Trincia ha dismesso completamente i panni della Iena e si è vestito di rispetto e di riguardo. Le prime due storie, una ragazza che aspettava il fidanzato di rientro dal Brasile (“stiamo insieme da poco e il viaggio con gli amici era già programmato”, sic!) e un giovane africano che si è operato in Italia per una malformazione cardiaca grazie a una Onlus, sono apparse claudicanti. Sembrava che lo stesso Trincia (un po' goffo nell'approccio) fosse riluttante a penetrare la privacy dei passeggeri. Dalla terza storia però si è sciolto e il programma è salito d'intensità. Il giornalista ha trovato la chiave, la postura e il tono giusto: un armonico soffio di flauto che ha conquistato gli avventori dello scalo e i social. Ogni storia è durata tra i 5 e i 10 minuti e grazie alla narrazione in prima persona e all'intervallo con immagini in hyperlapse ha avuto il giusto periodo di decantazione. Trincia ha avvicinato una giovane mamma e un altrettanto giovane nonna (andando un po' in confusione): “La cosa più bella che mi ha insegnato la mamma? La lasagna”. Notoriamente un piatto UNTOUCHABLE. Ha fatto esibire una coppia che non doveva partire ma ballare nell'albergo dell'hub, ha intercettato un gruppo di giovani ginnaste con gli occhi e la valigia piena di sogni, ha stretto la mano a una famiglia sudamericana che non si riuniva da quasi 10 anni (“il sogno di mia nipote è vivere in Italia, ci riusciremo prima o poi”). Ha salutato una famiglia italoargentina e un bambino italobielorusso in attesa dell'arrivo dei nonni dimostrando una straordinaria empatia con i più piccoli (su suo input il bimbo di soli sei anni ha scritto in italiano e in cirillico un messaggio di benvenuto per i nonni). Ha introdotto con tatto e misura la storia più difficile, quella di Silvio che doveva accogliere la figlia della compagna colpita da ictus: “Agli arrivi vedo abbracci, urla, baci, ma ci sono anche storie che non fanno rumore, se ne stanno in solitaria”. Si avvicina a Silvio: “Posso chiederle perché è qui?” e quello si lascia andare, racconta la sua vicenda (“Ci diamo forza a vicenda, è una ragazza che ha la morte nel cuore ma il sorriso sulle labbra”) come se si stesse confidando a un amico, a un compagno di viaggio. Come se la telecamera non esistesse. Nessun primo piano insistito a voler cavar fuori le lacrime da un volto distorto dal dolore, nessuna frase a effetto da captatio benevolentiae del pubblico. Tutti si confidano con semplicità perché dice Trincia: “l'aeroporto è un luogo democratico, ci passa gente normale e star. Ecco il Maestro Tony Dallara”. Il cantante vincitore di un Festival di Sanremo è confuso nel fuggi fuggi generale, è lì per accogliere la figlia che vive da vent'anni a New York e una-due volte l'anno torna in Italia. “Maestro, una canzone giusta per un aeroporto?” “Tu sei romantica”. Dallara ha voglia di ricordare al mondo i suoi successi, la sua carriera, si percepisce il dispiacere per il passare del tempo: “Dovrei fare per una tournée in Australia ma è troppo lontano”. La figlia sbuca dalle porte scorrevoli, si abbracciano, salutano e si incamminano verso un altro pezzo di vita insieme. C'è amore e nostalgia negli incontri di Trincia. E' la volta di un gruppo di giovani pakistani con un mazzo di fiori in mano e avverte: “Nulla è come sembra”. Parla loro in arabo ma quelli precisano che il loro dialetto è urdu. E Trincia che fa? Ripete il saluto nella loro lingua. Twitter esplode: “Che invidia! Bello e pure colto! Ma quante lingue sa?! E' un mito”. Già perché si è espresso in portoghese, spagnolo, inglese e dialetto urdu. Roba che noi siamo rimasti ancora (miseramente) a “Hello Goodbye” e stamane siamo andati a iscriverci di corsa al Cepu per aspiranti poliglotti. I pakistani stanno aspettando un amico che non vedono da un mese e gli hanno portato i fiori (perché no?!). Rivelano al bel Pablo che sono felici di vivere in un paese così accogliente (non li ha scalfiti l' “aiutiamoli a casa loro” di Salvini, nda). Hanno tra i 19 e i 25 anni e un forte senso di unità. Li saluta sulle note di “Mere Rashke Qamar” di Paco Nusrat Fateh Ali Kahn (e noi di corsa a scoprire chi è).   Il programma ha un grande punto di forza: entra in punta di piedi nelle vite dei passeggeri e nelle vite degli spettatori. Non c'è alcuna indigesta gastroscopia del sentimentalismo, anzi. Al momento dell'incontro le telecamere si allontanano, battono in ritirata come soldatini agli ordini del comandante che si arrocca sulla torre e osserva da lontano lo scorrere degli eventi. E' un programma pulito. La gente passa, viene e va, incrocia, ma dietro a un abbraccio, un pianto o un sorriso c'è una vita intera da rispettare. "Hello Goodbye" narra storie differenti, ma vere. Reali non reality. 

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