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Il segreto di Pippo Franco: "Il rap l'ho inventato io"
Pippo Franco ci ha abituato alle sorprese. Stavolta parla a ruota libera di tutto, dal Festival di Sanremo al teatro, fino alla spiritualità e alla dieta per l’eterna giovinezza. Pippo Franco, l’ha seguito il Festival di Baglioni? «A differenza degli anni passati l’ho seguito davvero e l’ho trovato anomalo e in controtendenza rispetto agli altri». Perché le è sembrato in controtendenza? «Oggi la televisione si basa sullo scontro, sulla polemica e sul litigio. A Sanremo, invece, ha vinto il rispetto per tutti gli artisti in gara. L’anno scorso erano stati fatti fuori personaggi come Al Bano e Gigi D’Alessio. Quest’anno, invece, niente esclusioni. Anzi, paradossalmente alla fine hanno vinto proprio gli unici due che, in un primo momento, erano stati fatti fuori. E poi finalmente abbiamo assistito a un Festival condotto da tre persone che sapevano fare qualcosa. Ognuno nel proprio campo. Insomma per una volta un Sanremo davvero fuori dalle regole». Lei all’Ariston c’è stato già tante volte. Ci tornerebbe l’anno prossimo? «Perché no. D’altronde mi è capitato di essere anche primo in classifica. Certo mi servirebbe la canzone giusta ma se mi rimetto a scrivere chissà. Mai dire mai». Come dovrebbe essere la canzone giusta per lei? «Dovrebbe essere un pezzo originale che esce dagli schemi. Come furono all’epoca brani come “Che fico” o “Chi chi chi co co co” che arrivò primo in classifica alternativamente a “Vacanze romane” dei Matia Bazar. E forse non tutti sanno che quella canzone fu il primo esempio di rap in Italia». Lei si considera il pioniere del rap in Italia? «Direi di sì, anche prima di Jovanotti. Sono stato sempre molto attento a quello che accadeva nel mondo musicale e avevo sentito brani interessanti che venivano dagli Stati Uniti. “Chi chi chi co co co” è un brano parlato con caratteristiche molto particolari». Com’è nata l’ispirazione per quella canzone? «Mi ricordo che avevamo già scritto la musica ma non mi veniva l’idea giusta per il testo. Allora mi chiusi nello studio di registrazione aspettando che arrivasse l’ispirazione. E alla fine arrivò. In un’ora era tutto pronto e definito». A cosa sta lavorando adesso? «Ho diversi interessi e mi sto dedicando soprattutto alla scrittura di testi che potrebbero essere rappresentati sul palco di un teatro. A marzo sarò in scena al Tirso de Molina di Roma con “Brancaleone e la sua armata”, uno spettacolo col quale siamo stati in tournée anche l’anno scorso a Milano». In passato anche il Bagaglino. Cos’ha rappresentato quell’esperienza per lei? «Ha coinciso con la formazione della mia identità. Il cabaret nasce a Milano ma col Bagaglino è sbarcato a Roma. Nel 1972 ho aperto il Salone Margherita che è diventato presto il vero punto di riferimento per la satira politica e di costume. Poi è arrivata la televisione con l’esplosione di un programma che ha avuto successo per 23 anni. Eravamo voci fuori dal coro e abbiamo tracciato una strada seguitissima. Bene o male oggi sono tutti nostri figli». Com’è cambiata la satira politica in questi anni? «Oggi la satira politica non esiste più. Ma è cambiata anche la politica. Più di una volta al Salone Margherita abbiamo ospitato Andreotti. Oggi, invece, nei politici non c’è più autoironia o se c’è è del tutto involontaria. In genere smentiscono anche quello che non hanno ancora detto. E vanno tanto di moda i cambi di casacca». Da cosa dipende la crisi della satira? «Ci sono periodi della storia in cui le nazioni sono poetiche. Com’è successo all’Italia a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. La satira era il lato comico di questa visione poetica dell’esistenza. Poi si è perso tutto e adesso nessuno è più in grado di capire che la vita è soprattutto arte». Lei è stato protagonista anche sul piccolo schermo. Le piace la televisione che si vede oggi? «Ci sono talmente tanti canali che è possibile scegliere cose diverse. Sul piccolo schermo si vedono soprattutto omicidi, programmi di cucina, talent, quiz e politici che litigano. È una televisione nella quale faccio molta fatica a riconoscermi». Ci pensa mai a tornare sul piccolo schermo? «Sinceramente non saprei. Non so se ci sono orecchie attente a quello che potrei dire e fare». Per lei tanta popolarità anche al cinema con la stagione della commedia sexy. Come spiega quel successo? «Quei film raccontano il disagio e l’imbarazzo dell’uomo nei confronti dell’esplosione del sesso e la sua difficoltà ad arrivare a bellezze come quella della Fenech». Negli ultimi anni lei ha compiuto anche un importante percorso spirituale. Come nasce la sua esigenza? «La vera dimensione vuole che siamo esseri spirituali in cerca di un’esperienza umana. Nel mio piccolo cerco di non dipendere da niente e nessuno. Ma è un percorso che non finirà mai». In cosa si manifesta questa sua nuova spiritualità? «Nel mio stile di vita, dall’alimentazione al modo di pensare. Seguo una dieta particolare basata su cibi che non deteriorano la mucosa intestinale. Senza dimenticare che c’è anche un inquinamento dell’organismo che deriva dalla mancanza di equilibrio tra cibi acidi e basici». E cioé? «Ogni mattina verifico il mio ph e decido la dieta del giorno. I cibi di cui ci nutriamo influiscono in modo determinante anche sul nostro modo di pensare. Insomma, dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei».