"Ho scoperto Battisti ma mi hanno cancellato dalla sua vita"
Roberto Matano, cantante e produttore: "Componemmo insieme 40 canzoni ma non ero iscritto alla Siae. Che errore"
«Sia chiaro: non cerco soldi, diritti d'autore o altro. Voglio solo che si sappia la verità. Che i giovani conoscano la vera storia di Lucio Battisti. E la mia». Roberto Matano, cantante, produttore e talent scout oggi è direttore artistico della Saar, storica casa discografica milanese che ha annoverato nelle sua fila tra gli altri Luigi Tenco, Adriano Celentano e Tony Dallara, il cantante che nel 1958 sostituì come leader dei Campioni. Lo stesso complesso dove qualche anno dopo chiamò a suonare un giovane chitarrista di Poggio Bustone. Roberto Matano, quando ha incontrato Lucio Battisti per la prima volta? «Nel 1963. Avevo già deciso di prendere nei Campioni un chitarrista eccezionale come Alberto Radius. Poi però ho sentito suonare questo ragazzo che tecnicamente non era bravo come lui ma aveva fantasia e creatività uniche». Cosa l'ha colpita di più in quel giovane chitarrista? «Io avevo qualche anno più di lui e allora i Campioni erano uno dei complessi più famosi d'Italia. Lui suonava in un gruppo che faceva musica da ballo e aveva un modo tutto suo di interpretare canzoni anche molto famose, di mettere accordi che non c'entravano niente che però suonavano bene». LEGGI: Lucio Battisti, così nacque il mito. La vera storia Le prime canzoni di Battisti sono nate insieme lei? «Sì, sono una quarantina, forse anche di più. Solo che per l'ingenuità di quando si è giovani e soprattutto per la sincerità che c'è sempre stata da parte mia, di questo non è rimasto niente. Per anni io e Lucio abbiamo vissuto insieme e fatto tremila concerti. È stato quasi naturale dire: "Vabe', l'esame alla Siae fallo te, tanto stiamo insieme e prima o poi lo farò anch'io". Questa è stata una mia ingenuità perché poi con gli anni ho capito che, come diciamo a Roma, avevo fatto una str...». Perché alla fine quel lavoro fatto quotidianamente, tra un concerto e l'altro, è stato capitalizzato da altri. È così? «Sì, è corretto. Poi c'è da dire che la prima volta che Mogol sentì Lucio lo scartò. Disse che non gli interessava. In seguito, per l'insistenza di una mia amica, l'editrice Christine Leroux, che tornò alla carica sei-otto mesi dopo il primo no, accettò. All'epoca Mogol era già una potenza, era il figlio del direttore della Ricordi». Lei sostiene che Mogol all'inizio ha valorizzato con le sue parole brani che avevano già una forma, anche se diversa. «Sì, assolutamente. Il primo contratto Lucio l'ha ottenuto grazie a me e alle mie canzoni, quelle scritte insieme, che poi dopo sono state cambiate. Aggiustate, certamente, con tutti i complimenti a Mogol contro cui non ho niente». Ma poi il sodalizio tra loro due ha prodotto dei capolavori. Il suo non è un giudizio ingeneroso per un autore che ha segnato la storia della musica italiana? «Ci mancherebbe, non discuto le doti di Mogol. Ma certo va ricordato che a essere fondamentale è la musica di Lucio. Se non ci fosse stata quella...» Il suo messaggio è: all'inizio Matano era l'unico a credere in Lucio. Poi, arrivato il successo, tutti sono diventati scopritori di Battisti... «Potrei fare un elenco lunghissimo di nomi... A un certo punto discografici, anche molto importanti, quando mi vedevano cambiavano marciapiede perché avevano paura che andassi a rompergli le scatole per proporre i nastri di Lucio. Mi piacerebbe fare nomi e cognomi, ma tanto il pubblico crederà sempre a chi va in televisione. In giro ce ne sono almeno venti che hanno scoperto Battisti, e la cosa mi fa sorridere». Nel suo libro "A Robe'" parte dalla fine, dagli ultimi incontri con Lucio, negli anni Ottanta, quando vi siete rivisti dopo molto tempo. «Agli inizi, per circa un anno circa, ci trovavamo io, Mogol e Lucio per mettere a posto le canzoni. Poi quando ho capito che davo fastidio ho preso e me ne sono andato. Però Lucio mi ha sempre cercato e sono rimasto con lui. A un patto però: non volevo che nessuno sapesse delle cose che decidevamo insieme. Qualsiasi cosa faceva, anche quando era ormai il più grande, mi telefonava per consigliarsi con me. E questo è stato. Anche per questo c'è molta amarezza e vabe', la vita è fatta cosi». Cosa rimprovera a Battisti? In fondo era un grande talento, gli si sono aperte le porte del successo e ha spiccato il volo. «La cosa che più mi ha ferito e deluso è che non ha mai detto a nessuno chi ero io e quello che avevo fatto per lui. Poi certo, non è stata solo colpa sua: è stato anche mal consigliato. Ci sono stati dei momenti molto brutti tra noi: una volta gli ho scagliato contro tutti i provini che avevamo fatto. È un peccato che siano andati perduti, però ero talmente addolorato, mi sentivo pugnalato alla schiena e non capivo più niente». È successo dopo un episodio preciso? «Sì. Un giorno, alla fine degli anni Sessanta, mi hanno chiamato alla Ricordi perché dovevano parlarmi. Sono entrato e non c'era nessuno. Ho fatto il primo piano, il secondo... deserto. Non sapevo cosa fare. Improvvisamente si sono accese e le luci e son venuti fuori tutti: lui, gli impiegati... Così mi hanno svelato che stavano registrando un programma per Radio Monte Carlo in cui Lucio faceva una specie di racconto dei suoi esordi e parlava di me e così avevano ideato questa "sorpresa". Io ho reagito malissimo perché era il momento più brutto del nostro rapporto. Sono uscito di corsa dalla Ricordi e Lucio mi ha rincorso, ma fuori è stato fermato dai fan che lo avevano riconosciuto. Meglio così, gli avrei messo le mani addosso perché ero davvero addolorato. Il giorno dopo sono tornato da lui con uno scatolone per tirargli tutti i nastri dei provini fatti insieme». Comunque si sia consumato, questo per così dire "tradimento" ha pesato nella sua carriera? «Ha pesato molto su di me, sulla mia persona, non sulla mia carriera, perché ho sempre lavorato e ho fatto anche cose molto importanti, ad esempio con Gino Paoli». Scrive che Paoli quando l'ha ingaggiata nella sua casa discografica le ha detto: "Quello che ti è successo con me non succederà". Perché? «A quell'epoca avevo deciso di non parlare più del mio rapporto con Battisti perché l'ambiente discografico di Milano era molto piccolo. Le etichette erano tutte vicine e ci si conosceva tutti. Si era sparsa voce di questa storia e mi dava molto fastidio: mi sentivo preso in giro per essere stato fregato in quel modo lì. La cosa che ora mi brucia di più è assistere oggi a cose miserevoli. Persone che non hanno nemmeno conosciuto Lucio e ne parlano come se fossero stati i migliori amici».