Maria Grazia Cucinotta: a vent'anni ho subìto violenza
«La paura e la rabbia nel subire una aggressione maschile so cosa sono. Mi è capitato a Parigi: avrò avuto 20 anni, e vivevo lì. Un pomeriggio, per strada, un uomo mi ha seguito e mi ha messo le mani addosso. Ha tentato di strapparmi la felpa, ma sono riuscita a scappare». A dare una testimonianza e un messaggio contro la violenza nei confronti delle donne, intervistata da LaPresse, è l'attrice Maria Grazia Cucinotta, attingendo a un suo ricordo di ragazza e alla sua esperienza come testimonial per realtà e associazioni impegnate nella prevenzione delle violenze di genere. E poi cosa ha fatto? «Fin da ragazza, fra i miei valori c'era la fiducia nelle istituzioni. Ho denunciato alla polizia immediatamente il fatto, ma non ho trovato la risposta che mi aspettavo nelle forze dell'ordine. Mi sono quasi sentita accusata di essere stata io, in qualche modo, a provocare quel gesto violento. L'insinuazione, nemmeno tanta velata, è stata: 'sei un tipo mediterraneo, sei provocantè. Ero vestita in tuta. Ma anche se una donna viene aggredita mentre va in giro in minigonna è inaccettabile un atteggiamento del genere». Lei è ambasciatrice per il World food program delle Nazioni Unite ed è testimonial della Fondazione Pangea Onlus, che si batte contro la violenza sulle donne. Si è fatta una idea di cosa non va, di cosa non funziona e di cosa fa sì che queste violenze non si fermino? «In giro nel mondo ho visto bambine prostitute. Ma anche in Paesi civili come l'Italia evidentemente non ci sono ancora leggi adeguate. Ci sono casi in cui una persona viene denunciata o, peggio, condannata per stalking e poco dopo viene scarcerata: in questo modo le donne restano indifese». Sono tante le associazioni e le campagne contro la violenza sulle donne, possibile che non cambi nulla? «Le campagne di comunicazione servono per dare degli strumenti alle donne, per far capire che è importante denunciare e per aiutare a farlo. Ma non salvano la vita, la differenza la fanno le leggi e il modo in cui sono applicate». Quale è il cambiamento culturale che servirebbe per prevenire questi fenomeni? «Dovrebbe partire dalle madri nei confronti dei figli maschi, dalle famiglie, dalle scuole primarie. La sfida è far capire che bisogna rispettare le donne, che certi atteggiamenti sono sbagliati, anche le piccole prevaricazioni verso le bambine, anche certi appellativi con cui da adulti di fronte a un bimbo si insinua magari che un'altra donna è una poco di buono. Cose che non si possono tollerare. Sono messaggi che non devono passare». Lei è una attrice molto amata dalle donne, anche per il suo impegno nel sociale. Ci sono donne, madri che le scrivono per parlarle di problemi di violenze psicologiche o fisiche subite dagli uomini? «Si, mi scrivono in tante, molte sono preoccupate per le figlie, preoccupate per il modo in cui il fidanzato o il marito le tratta». E lei cosa dice loro? «Suggerisco di chiedere aiuto a esperti, a persone specializzate. Di parlarne con un avvocato fino a denunciare alla polizia, alla magistratura. Perché subire può diventare sempre più pericoloso».