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La radio è giovane mentre la tv chiacchiera troppo

Il paradosso mediatico: una è sempre vivace l'altra annega nei talk e si salva con i varietà

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La radio a 90 anni è giovane; la televisione, ad appena 60, è vecchia. Potrebbero essere, per dato anagrafico, madre e figlia eppure la prima, che cominciò le trasmissioni il 6 ottobre del 1924, è vivace come una velina e la seconda, venuta al mondo, in Italia, nel 1954, risulta ripetitiva, quasi arteriosclerotica nella sua prevedibilità. Ieri, per tutto il giorno, le emittenti radiofoniche Rai han fatto suonare la celebrazione per l'anniversario e così la radio festeggiava mentre la televisione piangeva. "La radio fa novanta: dal transistor allo smartphone", era il titolo dello speciale di Radio 1 in onda dalle 10.30 alle 12. In studio Giorgio Zanchini e Ilaria Sotis con Renzo Arbore, Fiorello, Dario Fo, Sergio Zavoli, Enrico Vaime, Tiziano Bonini, Enrico Menduni. Sono stati proposti documenti sonori, tra i quali il proclama di Armistizio di Badoglio dell'8 settembre 1943. «La radio viene accesa ogni giorno da 35 milioni di italiani - ha sottolineato il direttore di Radio 1 Flavio Mucciante. E chi ne profetizzava un lento declino di fronte allo sviluppo delle tecnologie ha perso«. «Il fascino della radio - secondo Massimo Cirri, di Caterpillar, Radio 2 - è legato al fatto che parla e fa parlare le persone mentre fanno altro, magari lavorano. Rispetto alla tv, che parla solo a dei corpi morti sul divano, ha un vantaggio in più». Per Marino Sinibaldi, invece, direttore di Radio 3 il modo migliore di riassumere 90 anni di radio è «continuare a proporre i generi diversi che la radio ha praticato. Questa varietà è il primo tratto della storia della radio e anche del suo presente. Una varietà non superficiale che discende da un rispetto per la pluralità del linguaggi culturali, artistici e musicali che ad altri media manca del tutto». E forse proprio da qui, dal tema dell'imprevedibilità, della non omologazione dei generi, può innestarsi la riflessione sulla crisi della televisione. Una crisi che ha portato ad una somiglianza di programmi ed alla nascita di un (quasi) monogenere: il talk show. Ce ne sono un'infinità oggi: politici, di costume, di intrattenimento, del mattino, del pomeriggio, della sera, della notte, del fine settimana. Costa meno degli altri generi il talk eppure è il genere che fa più assomigliare la tv alla radio. Ma se uno deve guardare delle chiacchiere, allora le ascolterà e basta, magari alla radio, senza spiaggiarsi nel salotto di casa. Le ragioni per cui il talk sia diventato il genere dominante, sono varie. Costa meno delle fiction e dei grandi varietà. Ci sono stati errori editoriali di chi decide i palinsesti. C'è una crisi autoriale che riguarda la tv. Eppure i dati Auditel rivelano quasi ogni giorno come il pubblico sia stanco della politica parlata, ed ami invece le fiction di commissari, preti, suore, le serie avvincenti. Come apprezzi il tentativo di ritorno al varietà, con "Tale e quale s how" di Rai 1 oltre i sei milioni di telespettatori, con "Ballando con le stelle" (sempre Rai 1) che nella prima puntata ha fatto il 24,13% di share che, sommato agli ascolti di "Tu si que vales", su Canale 5, con Maria De Filippi e Gerry Scotti, sabato sera, fa quasi uno spettatore su due davanti ad uno dei due programmi. Un messaggio chiaro alla tv: meno parole e più spettacolo.

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