Maria Luisa Spaziani e la lite con Montale
L'ultima intervista «Lui mi disse: volevo solo un'allieva di canto, la poesia non mi interessa» LEGGI ANCHE Una scrittura illuminata dalla «frequentazione» di Proust LEGGI ANCHE Mi mancherà come mi man
Si svolgeranno oggi alle 16, nella Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo a Roma, i funerali di Maria Luisa Spaziani, poetessa e francesista, scomparsa a 91 anni. Questo è uno stralcio dell'ultima inedita intervista alla fondatrice del premio Montale. A 19 anni dirigeva la rivista "Il dado" per la quale scrivevano Pratolini e Penna. In quegli anni conobbe Montale. Ho avuto una vita parallela a Montale per 15 anni. È stato l'uomo più divertente che abbia conosciuto. Un'amicizia amorosa, un sodalizio letterario che ha contato moltissimo. Uno dei miei progetti di gioventù era cantare. E anche lui, che sognava di essere un grande baritono, poi provò a fare il basso. Litigammo una sola volta quando mi disse: «Credi di aver attirato il mio interesse per la poesia? Io volevo un'allieva di canto». Entrambi abbiamo ripiegato sulla poesia. Ripiegato non direi. Ho avuto tante altre passioni. Per esempio, l'aviazione. Andavo all'alba sui campi torinesi aspettando che qualcuno mi facesse volare e sono riuscita a guidare un piccolo aereo, si chiamava PM2. Poi avrei voluto fare il lavoro di Oriana Fallaci. E lì sono successe delle scene terribili tra me e il direttore della "Stampa", Giulio De Benedetti, perché avrebbe voluto che mi occupassi di moda e mondanità. Un giorno a Parigi degli amici mi dicono che aprono la grande casa dove Proust ha ambientato parte della sua "Ricerca": fui la prima a entrare. Spedisco il mio servizio e il direttore lo pubblicò perché la moglie ebbe a dirgli che quel tale Proust era un personaggio importante! Per un certo periodo mi ha appassionato anche la stenografia, sono stata campione europeo. Ironia, registri comici e modernità la caratterizzano. L'ironia è in tutti i miei libri. La modernità soprattutto nel poema-romanzo "Giovanna D'Arco", un personaggio che mi ha affascinato da bambina; ne sono trascorsi 45 prima di realizzare il poema in endecasillabo. E grazie ad Andreotti. Ero a un pranzo seduta al suo fianco mentre una giornalista mi chiedeva di "Giovanna D'Arco". Andreotti aveva ascoltato tutto e mi venne il terrore che potesse scriverlo al posto mio! Così, nel giro di un mese, completai l'opera. La poesia è ancora possibile? Non solo è possibile, ma ha un grande futuro, perché siamo troppo avvelenati dalle «altre» parole. In fondo, i poeti dicono sempre le stesse cose, ma sempre in una forma diversa. E vengono fuori le grandi poesie, anche le grandi novità, le grandi rivoluzioni. L'amore, la religione, la poesia sono le tre cose che non moriranno mai.