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Giancarlo Giannini: «Quando diventai beat per Morricone»

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L'attore: «I western? Non avevo il fisico da cowboy. Julia Roberts esordì con me. Mitchum mi insegnò parolacce»

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Domanda: che mestiere fa Giancarlo Giannini? L'attore-doppiatore? Risposta sbagliata. «Io sono un perito elettronico! Ho inventato un giubbotto interattivo che il regista Barry Levinson fece indossare a Robin Williams in Toys . Poi realizzai un guanto per la realtà aumentata, ma gli americani mi fregarono il brevetto. E dei portachiavi luminosi per trovare la chiave giusta di notte: i cinesi erano interessati ma dicevano che i prototipi erano troppo ingombranti, e non se ne fece più nulla». A che invenzione sta lavorando, ora? «Continuo a comprare balocchi tecnologici e li smonto. Mi diverto a giocare, così come quando recito. Mi vengono mille idee, ma il tempo per realizzarle è sempre meno». Però ha trovato il tempo per omaggiare Morricone, stasera al Sistina. «Un concerto-recital voluto dal chitarrista-compositore Mauro Di Domenico, che mi ha chiamato a collaborare a questo tributo. Lui suonerà i temi dei film composti da Morricone, i western di Leone o Uccellacci e uccellini di Pasolini. Ci saranno anche i ballerini della Oniin Dance Company». Morricone fu il primo a farla cantare. «Avevo poco più di vent'anni, c'era questo originale televisivo diretto da Squarzina, si chiamava Lo Squarciagola . Con me recitavano Paolo Ferrari e Olga Villi. Morricone, un genio, si mise al piano e mi insegnò la mia parte di cantante beat. Il pezzo era Non guardare le vetrine baby ». Mai fatti western, però. «Io? Magari, non avevo il fisico. Solo in un film americano, Legami di sangue , ambientato a metà dell'Ottocento, ero alle prese con dei cowboy. Ero un immigrato siciliano che difendeva le proprie terre dall'avanzata della ferrovia. Mia figlia era interpretata da Julia Roberts, al suo debutto». Niente cowboy, dunque. «No, feci il marine ne Lo sbarco di Anzio , con Robert Mitchum. Ero persino più minuto di lui. Girammo a Taranto, lui mi insegnava le parolacce in inglese e l'arte di stare davanti alla macchina da presa». Ma è vero che lei, Giannini, voleva andare a vivere in Arizona? «Sì, e nella Monument Valley ho ambientato il finale del fim che ho diretto e prodotto l'anno scorso, Ti ho cercata in tutti i necrologi . Purtroppo la critica non l'ha capito. Pazienza, viva le commediole». Però l' Arizona? «È una terra straordinaria per il rapporto tra l'uomo e lo spazio che lo circonda. Ci sono andato più volte, avevo anche trovato il posto in cui vivere. Ma poi ho fatto analizzare l'acqua: è più salata di quella del mare. Arizona, arida zona». Parlavamo di sceneggiati tv. David Copperfield fu il suo successone. 1966. «Facevo già teatro con Zeffirelli, ma il grande pubblico mi conobbe con il Copperfield . Si andava in diretta, c'era un regista come Anton Giulio Majano, e in altri sceneggiati Sandro Bolchi. Maestri che curavano l'immagine, e la linea classica della recitazione. Certo, lavoravano con attori come Tino Carraro, Gianni Santuccio, Lilla Brignone, Albertazzi. E quel bianco e nero resta strepitoso ancora oggi. D'altra parte, in tv c'era solo un canale. Vedevi quello o niente». Perché non si riesce più a realizzare meraviglie simili? «Gli inglesi e i russi le fanno, a volte anche gli italiani. Ma tutto viene costruito attorno agli ascolti e alla pubblicità». Vale anche per il cinema. «Chi ha più voglia di girare e produrre cose meravigliose come Pasqualino Settebellezze o Travolti da un insolito destino ? A quel tempo si facevano nottate per una riga di sceneggiatura, oggi non so. Ok, abbiamo registi bravi: Garrone, Tornatore...Ma il passaggio dalla pellicola al digitale ha cambiato il rapporto con l'immagine. E i film italiani non vengono neppure difesi nella distribuzione. Ne circolano poche decine di copie. Già trent'anni fa Fellini mi diceva: il cinema è come un museo, il raggio luminoso davanti alla pellicola sparirà. È stato buon profeta. Ora te ne stai a casa, puoi scegliere fra 300 film, chi te lo fa fare ad andare in giro di notte. Rischi pure che ti aggrediscano». Si dice che la Wertmüller spingesse lei e la Melato allo scontro fisico reale, sul set. «Ma no! Lina amava gli attori, mica li faceva picchiare tra loro. Una regista immensa, con un occhio spaventoso per la moviola. Euna donna dolcissima. Con lei ho anche prodotto film di successo mondiale. Il massimo dei danni che ho avuto con lei è stato un morso al dito da Paolo Villaggio». Che ricordi ha della Melato durante le riprese di Travolti ? «La natura della Sardegna. Finito di girare, ci godevamo i tramonti di quella terra unica. Io declamavo i versi di Leopardi, lei si divertiva con Euripide. La libertà degli attori alle prese con le proprie voci. Mariangela era una donna coltissima, intelligente, mai egocentrica». E della Magnani, con cui lavorò ne La Lupa in teatro? «Era incredibile, sapeva come coinvolgere il pubblico in un modo pazzesco. Generosissima, nel lavoro di una serietà assoluta, ma nelle pause amava divertirsi. Raccontava barzellette. La sua risata era memorabile. Ecco, sono stato un privilegiato perché ho conosciuto attori di quel tipo, che non vivevano immedesimati nella parte, ma una volta dato il ciak la interpretavano come nessuno al mondo. Gassman, Mastroianni. Mi facevano capire che recitare è un gioco, come ripeto sempre ai miei allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia. È un gioco, ed è bellissimo».

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