Il Museo degli Strumenti e il mistero del restauro
Unico in Italia, il Museo Nazionale degli Strumenti musicali, ospitato a Roma nella palazzina Samoggia (ex caserma Principe di Piemonte) nell’area sinistra della patriarcale basilica di Santa Croce in Gerusalemme, non gode di vita serena. Fondato nel 1974 e diretto sino allo scorso anno da Antonio Latanza, singolare figura di collezionista, e ora dalla storica dell’arte Maria Selene Sconci, custodisce in gran parte la preziosa collezione di strumenti del tenore frusinate Evan(gelista) Gorga, il primo Rodolfo della Bohème pucciniana (1896). Ma degli oltre 3000 strumenti, di circa 2000 anni di storia, meno della metà erano quelli esposti al pubblico, mentre la maggioranza continuava ad essere accatastata disordinatamente in uno stato di totale abbandono (sotto una spessa polvere e con inadeguate precauzioni di tutela) aggredita da tarli, muffa e ruggine. Il primo a dirsi dispiaciuto della scarsa attenzione che il Museo riceveva dal Ministero dei Beni culturali era l’ex direttore Latanza, che più volte aveva inviato SOS senza riceverne risposta. A mancare erano i fondi necessari per la conservazione di strumenti rari, come la dorata arpa Barberini, forse disegnata addirittura dal Bernini e appartenuta a Marco Marazzoli, o il clavicembalo "col piano e col forte” (1723) del liutaio mediceo Bartolomeo Cristofori, pionieristico antenato diretto del moderno pianoforte. Fino al giugno 2012 una ventina di sale erano aperte al pubblico, ma almeno altrettante ne rimanevano invece incomprensibilmente vuote. Ogni progetto di miglioria o di valorizzazione del materiale a disposizione, come ad esempio tutto l’arredo (pianoforte compreso) dello studio di Piazza di Spagna di Giovanni Sgambati, il più importante compositore italiano di musica strumentale dell’ Ottocento, non ha ricevuto risposta. Dal 9 giugno dello scorso anno poi il Museo risulta chiuso ufficialmente "per restauro”, ma in realtà nessuna miglioria è stata apportata e nessuna giustificherebbe in ogni caso ben diciotto mesi di chiusura. Una ventina i lavoratori del museo che ospitava circa ventimila visitatori l’anno, soprattutto scolaresche o turisti stranieri. Il fatto è però che il Museo non riceve la dovuta attenzione e pubblicità, al contrario di splendidi musei analoghi che si possono visitare a Bruxelles, Stoccolma o Berlino, in cui gli strumenti suonano automaticamente grazie a cellule fotoelettriche. Un Museo insomma con le ali tarpate o col freno a mano tirato, un’ istituzione quasi tollerata, senza considerare invece l’ utilità documentaria di quei preziosi "arnesi della musica”, come li chiamò Pinzauti, che sono gli strumenti musicali, che spaziano dalla musica popolare a quella colta attraverso le diverse epoche, da preziosi oggetti di arredamento a mezzi necessari per fare musica. Organi, cembali, lire, salteri, violoncelli, violini, corni, persino una celesta a bicchieri e una glassharmonica, cara a Mozart, tra gli ospiti. Ci piace immaginarli, come nell’ Enfant et les sortileges di Ravel, ribelli in una concertazione notturna a fare gran chiasso per attirare l’attenzione sul malcostume tutto italico di trascurare quell’ arte che pur tanto ha dato all’Italia. Masochismo atavico al quale non si può che rispondere con una denuncia chiara e forte contro l’indifferenza e l’ignavia di chi dovrebbe avere a cuore la cultura musicale italiana e la sua tradizione secolare. Intanto musicisti e agguerriti musicofili si sono dati convegno su Facebook sul blog Salviamo il Museo degli Strumenti musicali. Dal maggio scorso la "chiusura passiva” sembra essersi trasformata in "chiusura attiva” al fine di adeguare il museo, ma i fondi mancano ancora e così la certezza di una prossima riapertura. L’idea vincente sarebbe quella di effettuare i lavori con una parte del museo aperta ai visitatori. Sembra che si stiano per avviare lavori finalizzati alla riapertura ed alla valorizzare delle opere esposte, sottolineando l’ importante funzione sociale svolta dalla musica in tutti i tempi. «L’obiettivo – dice la direttrice - è anche quello di far sì che il Museo sia percepito come una realtà moderna ed attiva anche e soprattutto nel promuovere interesse e meraviglia intorno all’affascinante mondo della musica». La speranza insomma è davvero l’ultima a morire. Non ci resta che aspettare un regalo da Babbo Natale.