Addio a Guarini, l'intellettuale scomodo che odiava il conformismo
Dalle radici comuniste alla libertà di pensiero, amava le sfide e non assecondava i padroni
Forse non basterà ad alleviare il dolore dei familiari e degli amici più cari di Ruggero Guarini il ricordo e gli elogi che arrivano alla figura del giornalista e dello scrittore da tante parti. Certamente è sempre stato un intellettuale scomodo, ma nessuno ha mai pensato che lo facesse per gusto della sfida o per assecondare un padrone. Questo non bastava a tenerlo lontano da critiche o polemiche e talvolta da quella ostentata indifferenza di chi non lo considerava un interlocutore non capendo o non riuscendo a catalogare le sue scelte culturali e politiche. Insomma era di destra o di sinistra? Lui militante comunista fu cacciato dal Pci. Come sempre in questi casi con un seguito di aggettivi poco onorevoli. Eppure per quel partito Guarini poteva essere una risorsa se ci fosse stata libertà di pensiero. Ma era un uomo rigoroso, un lettore feroce e dunque sicuramente più colto dei suoi interlocutori. Compresi gli eredi del Pci che Guarini a volte si divertiva a esaminare e bocciare proprio per le carenze culturali che invece avrebbero dovuto essere alla base della loro formazione ideologica. Certamente conosceva Marx e Lenin più dei suoi critici. Ma se per caso lo facevi notare lui non si scherniva, ma quasi sottovalutava quelle letture per elencarne tante altre. Questo perché non era arroccato alle radici, non contestava la casa da cui era partito per principio o per vendetta, ma riteneva il vissuto un divenire fatto di esperienze e soprattutto di nuova conoscenza. L'accettare il nuovo, il guardare senza preconcetti era la sua visione. Scomoda, controcorrente, ma mai banale e nemmeno scontata per partito preso. C'è infatti chi ha fatto dell'anticonformismo la propria ragione di vita, finendo poi per diventarne vittima. Per quanto ho avuto modo di conoscere Guarini, questo non è mai avvenuto. Anzi aveva la capacità di stupire proprio perché la sua risposta non era prevedibile, era la sua, solo la sua. Io l'ho conosciuto di persona quando, dopo aver lasciato il Messaggero e le sue pagine culturali, decise di scrivere per noi, per Il Tempo. E così quello che per me fino a poco prima era solo un nome, uno scrittore, un poeta e un giornalista, divenne molto di più. Un affascinante conversatore, un uomo dalle mille spigolature, capace di una ironia e di un umorismo discreto e colto favorito dalla sua inflessione napoletana che non voleva nascondere. Era un intellettuale e aveva Napoli nel sangue. Aveva i tempi, la pacatezza e l'eleganza degli intellettuali di quella terra. Io l'ho visto sorridere quando gli dissi, nel corso di una serata tra amici, che di Napoli amavo tre cose: la pizza, le cravatte e gli intellettuali. Non hanno concorrenza nel mondo. Mi sono chiesto quale fosse il suo giudizio per questo temerario paragone. Chissà cosa si nascondeva dietro quel sorriso. Forse nulla, perché certo nessuno può rimproverare a Guarini di aver taciuto per non dispiacere a qualcuno. E se mi avesse considerato un conformista certo avrebbe reagito. Perché il conformismo è quello che odiava di più. E che lo portò a prendere le distanze dall'ultrasinistra quando vi si riconosceva, oppure dalla Destra in epoca più recente. Il problema è quello delle etichette, la difficoltà di accettare che un uomo può essere semplicemente libero e giudicare con la propria testa e non attraverso la mediazione della tessera di partito. Noi a Il Tempo abbiamo dato voce a un uomo scomodo, ma sincero. Colto come pochi, ma capace di farsi capire da tutti. E sul nostro giornale ha dato vita a dibattiti appassionati, anche a polemiche aspre trovando da noi sempre una palestra di libertà. Un giornale a cui è arrivato in età matura, ma anche per questo ha potuto pubblicare il miglior Guarini giornalista, un uomo che i suoi 82 anni di vita li aveva vissuti intensamente, ma non per questo aveva perso la capacità di stupirsi. Ed è significativo il suo ultimo articolo pubblicato domenica. Aveva preso spunto dai funerali di Franca Rame. Si era stupito che quell'indecente «show dei Fo» non fosse stato criticato. In questo ultimo scritto c'è un ricordo del comunismo che fu, molto più onorevole di chi oggi ne riesuma il cadavere. In quel testo c'è un po' lo specchio di una parte della sinistra, comunista e non, ma comunque legata al passato. Forse morta. E tanto più forte è questa affermazione perché arriva da chi non si è pentito di essere stato comunista. Orgoglioso di quella militanza. Perché questo era il suo carattere, di chi per guardare avanti non deve nascondere il passato. Un edema polmonare ha chiuso il suo libro della vita. Ci ha privati di una grande voce ma non del suo pensiero che ci accompagnerà con i suoi scritti.