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di Lidia Lombardi Gadda, l'ingegnere, l'intellettuale, lo scrittore, di tutto era curioso.

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Giravaper l'Italia, lodando l'impresa ma rampognando l'imprenditore sciacallo o la furia edilizia (come non ricordare il pistolotto contro ville e villette spuntate in Brianza ne «La Cognizione del dolore»?). Di questa lente applicata allo Stivale, con la deformazione di un linguaggio sempre stratificato di echi ironici e amari insieme, aveva dato conto nella raccolta «Meraviglie d'Italia». Ma un'altra antologia di prose poco si ricorderebbe se ora Adelphi non avesse ripubblicato «Verso la Certosa», volume del 1962 a tiratura limitata - 1500 copie (247 pagine, 19 euro)- ormai reperibile solo sul mercato antiquario, come avverte Liliana Orlando nelle note al testo. Adelphi ci dà di più: l'appendice contiene inediti , come la lettera che Gadda spedì a Mario Luzi nell'ottobre del 1957, dalla dimora romana di via Blumenstihl 19, per ringraziarlo del sostegno dato a Quer pasticciaccio brutto di via Merulana, che non aveva vinto il Premio Marzotto, andato ex aequo allo stesso Luzi e a Umberto Saba. Débacle che lo scrittore milanese confessa di aver digerito senza pesi: «…Citati venne a comunicarmi la mia esclusione. Era una bella giornata, avevo riposato bene, e accolsi la notizia con serenità…». Disposizione d'animo replicata nelle «Confessioni»: «Avevo dormito bene - il caffellatte era stato eccellente: ed accolsi la mia esclusione tirando un sospiro di sollievo». Così, dunque, gli umori di Gaddus. La melanconia, il male di vivere - derivatigli anche dagli anni giovanili, quando si sentì preferire dalla madre il fratello, morto in guerra, come sottolinea Walter Pedullà nel recente «Storia di un figlio buonannulla» (Editori Riuniti) - si stemperano anche grazie a un cappuccino ben sorbito, a un panorama, a un risotto. Il risotto, appunto. In questa «autoantologia» il brano «Risotto patrio. Rècipe» è un distillato di sapienza italiana - tradizioni, culto dei prodotti della terra, degli utensili nobili - oltre che appassionata ricetta. «Quel che più importa è (…) immettere nel sacro risotto alla milanese ingredienti di prima qualità», attacca il Gran Lombardo. A cominciare dalla «vecchia e pesante casseruola di cui da un certo momento in poi non si sono più avute notizie… Rapitoci il vecchio rame, non rimane che aver fede nel sostituto: l'alluminio». Segue pignola e autarchica la lista degli ingredienti: il riso sia Vialone o Lodi ancora con la pellicola, «la veste lacera» che si sfalda nella cottura; le cipolle siano tenere; e per il brodo «un lesso di manzo con carote sedani, venuti tutti e tre dalla pianura padana, non un toro pensionato, di animo e di corna balcaniche; per lo zafferano consiglio Carlo Erba Milano in boccette sigillate: si tratterà di dieci dodici, al massimo quindici lire a persona: mezza sigaretta! Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano Casalbuttano Soresina…Alla margarina, dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no!». Dal palato al naso. Odori che suscitano sentimenti, in Gadda. Come nelle pagine sull'Abruzzo. Eccolo arrivare di notte a Teramo «dopo i borghi e i lumi della valle». Prende alloggio alla locanda del Giardino Incantato. Dove trova un letto perfetto: perché sotto il materasso non ha la rete metallica, la «malvagia» che «insacca»; ma «il quarantottesco elastico a schiena d'asino con le molle a spirale». E come non lodare il cassettone di noce: «Era un odor buono del tempo, tarme, ispessi panni, lini e fiore di lavanda: mille bruscoli e briciole tenevano ancora, in profondo, i cassetti, quasi polverizzate ossa. Le pietose ossa dei lari». All'Aquila s'impone l'occhio. La veduta della basilica di Collemaggio. Dalla facciata che ha un «paramento gaio e solenne, intessuto de' due colori della rupe, il rosa, l'avorio: essi mi dicono chiare acque dai monti, che la Madonna sfiora, o tacitamente percorre». La certosa del titolo è quella di Garegnano, vicino alla residenza milanese del Petrarca. Un'aura di ricordi letterari, di citazioni, di cause e concause storiche e intellettuali si mischia alla contemplazione dei paesaggi d'Italia. Elegiaca davanti alle campagne lombarde, nutrite di «una ragione profonda, antica. L'ordine geometrico e la dirittura delle opere, il popolo stupefatto dei pioppi, la specchiante adacquatura delle risaie…». Furibonda come Gonzalo Pirobutirro davanti ai falansteri di 8 piani tirati su con i mattoni forati, permeabili a rumori e temperatura esterna. Come quello che abita a Firenze: «Sentivo l'ottuagenario capitano di magazzini di pagnotte a riposo, pluridecorato al valore: lo sentivo espellere dalle 24 alle 4 tutto lo stock di catarro pazientemente accumulato nei bronchi durante le ore del tepore…».

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