Ezralow: la mia danza fatta di gioia
Loattende l'aereo per Los Angeles, da cui poi partirà per Tokyo. Ma questo estroso e profondo cittadino del mondo ama l'Italia, tanto da avere acquistato dieci ettari di terra in Maremma per piantarci alberi. Parla del suo spettacolo, ma anche del mondo in cui viviamo. Un corpo che pensa. Come mai ha scelto la musica classica per una sua creazione? «Beethoven, Bach, Chopin, Grieg e Debussy. Questi saranno i miei compagni di viaggio in questo nuovo spettacolo. Mi ero annoiato di creare sulla musica rock. Ho visto troppi spettacoli noiosi con musica rock. Sono ricorso a musica molto conosciuta, come un Notturno di Chopin o un Brandeburghese di Bach. Gli artisti devono aiutare a semplificare la vita. Per questo facciamo cose belle, leggere, accessibili ma sempre di alto livello. Abbiamo già tanti modi di complicarci la vita. Il pubblico è fatto di persone semplici. La mia danza è soprattutto gioia per gli occhi e per le orecchie». Come definirebbe la sua danza? «La mia danza è fisicità, ironia, leggerezza e tanta gioia. Non voglio un pubblico annoiato, ma felice e convinto. Che quando esce dal teatro porti via qualcosa attraverso gli occhi. Voglio sorprenderlo. La musica classica che ho scelto è alla portata di tutti, come nel film Fantasia di Disney. Beethoven mi consente di piantare un albero in scena, che poi regalo al pubblico. Il messaggio è quello di ripiantare un nuovo mondo. Ho un figlio di 10 anni: questo è ormai il suo mondo. Dobbiamo rispettarlo». Quali altri significati nel suo Open? «Il contrasto tra città e natura. Non è mia intenzione raccontare una storia, il clima è piuttosto astratto. Sono i vari elementi insieme a fare la storia. Il filo conduttore è che attraverso la città arrivo alla natura. I danzatori metà spettacolo sono vestiti, metà nudi ma dipinti. Io ho molte storie nella testa e nel mio corpo, ma il mio sguardo esterno è mia moglie Arabella, ex attrice di cinema e tv». Come mai ha scelto come titolo Open? «In un primo tempo avevo pensato a Recostruction, pensando a Calvino. Dobbiamo rimuovere, ricostruire. Ma il titolo non funzionava . Mia moglie mi ha suggerito Open: una parola bella in cui c'è tanta energia. Aperti possono essere il cuore, la mente, gli occhi, una finestra. Bisogna guardare al presente senza remore, appunto con mente aperta. La vita è spesso pesante, ma abbiamo tanta energia positiva che aiuta a risolvere i problemi». Ci sono due italiani nella sua compagnia. «Sei americani e due italiani. Sono persone totalmente differenti ed è stata una fatica metterli in sintonia. La danza classica, quella moderna, l'hip hop sono tenute insieme solo dalla musica classica». Quale è il suo linguaggio? «A 19 anni ho scoperto che potevo esprimermi e raccontare col corpo. Il linguaggio nasce dal corpo che è il nostro strumento. La tecnica è solo un modo di esprimersi. A differire sono solo le finalità. La danza è anche per strada, non solo nelle sale prove o nei teatri». Dove ha imparato l'italiano? «Ho avuto maestri d'eccezione in Lina Wertmüller e in Vittorio Gassmann. Ricordo quando ero giovane e debuttai in Italia pieno di testosterone. Oggi vedo il mondo con occhi diversi. Bisognerebbe concedere più chances ai giovani. La vera risorsa siamo noi stessi, non la tecnologia. Con la buona volontà possiamo cambiare gli altri, suggerire (ma non imporre) un altro modo di vivere. Questa è la danza». La l'arte può sopravvivere alla crisi? «La crisi è ormai dappertutto. L'arte e la creatività aumentano con la crisi. Quando si rischia il fallimento bisogna cercare in noi stessi, non fuori. Non basta comprare o creare di più. Bisogna prendersi cura di quello che c'è, ad esempio delle nostre città, della nostra storia, del nostro essere. Bisogna imparare a riciclare. Bach e Rossini hanno inventato molto ma anche "rubato" a chi veniva prima di loro. Noi deriviamo anche da chi ci ha preceduto».