Applausi per il Maestro Rozhdestvensky
Suileggii c'erano la prima (1923) e l'ultima sinfonia (1972) di Dimitri Shostakovich, l'alfa e l'omega del grande sinfonista russo separate tra loro da ben mezzo secolo intenso di vita e di storia, affidate alla bacchetta dell' ormai ottuagenario ma ancor giovanissimo Gennady Rozhdestvensky, amico e quasi erede fiduciario di Shostakovich. In mezzo, tra le due, trascorre tutta la complessa e altalenante vicenda umana ed artistica del grande compositore novecentesco: i trionfi, le delusioni, le purghe staliniane, le reprimende di regime, la "revisione", il superamento della crisi, l'approdo alla maturità, La Prima Sinfonia in fa minore op.10, già concepita con grande abilità per i colori di una grande orchestra ma prima prova di un giovane studente appena diciassettenne ed ancora in via di apprendistato, appare all'ascolto festosa, brillante e persino ironica, con temi parodistici dissonanti ma in modo ancora rassicurante, quasi autoritratto di un giovane di indiscutibile talento e di sicuro avvenire. Una partitura a tratti spettacolare ed avvincente che esalta il rilievotimbrico degli strumenti rivelando nel giovane già una sapiente mano di orchestratore. Il clima di giovanile e leggero scherzo si fa però, nell'ultima sinfonia - la n.15 in la maggiore op.141 scritta solo pochissimi anni prima della scomparsa - sberleffo, amarezza, straniata evasione. Shostakovich da esperto sinfonista si diverte qui a citare ripetutamente tra le righe tanto Gioachino Rossini (la trascinante cavalcata finale della articolata ouverture del Guglielmo Tell parigino) come anche ai suoi antidoti l'imaginifico Richard Wagner (il Leitmotiv del destino della Walkiria agli ottoni), ma il fulcro dell'opera resta il mesto e cupo Adagio che suona come una trenodia, una elegia funebre, quasi un addio definitivo alla vita, alle illusioni ed alle speranze perdute. È insomma quasi la "Vita d'eroe" (Heldenleben) di Shostakovich rivista e riletta con la lucidità di un flashback, il suo memoriale testamentario non solo artistico ma anche umano. Così lo Shostakovich aurorale della Prima e quello tragicamente crepuscolare della Quindicesima chiudono il cerchio. L'esecuzione, diretta dall'esperto Rozhdestvensky con gesto scarno ed essenziale, era a denominazione di origine controllata. Calorosi gli applausi del folto pubblico in un clima festoso. Lorenzo Tozzi