Lidia Lombardi Giovanni Antonucci, storico e critico teatrale, è come Indiana Jones.
Cosìla sua «Storia del teatro italiano contemporaneo» ( Ed. Studium, 298 pagine, 19,50 euro) è un vademecum che coniuga divulgazione rigorosa a piccole grandi battaglie di studioso militante. Ci sono ovviamente i mostri sacri, da D'Annunzio a Pirandello a Petrolini. Ma ci sono capitoli che invocano la riscossa di autori snobbati per pregiudizio. Per esempio i futuristi, che aleggiano nel «manuale» di Antonucci (con le virgolette perché è anche una cavalcata che accosta al testo le rappresentazioni, quelle prime che hanno pure fatto storia di costume). I futuristi, dunque: evocati non solo come ispiratori di uno dei grandi dimenticati, Bontempelli; ma anticipatori - con le serate del Teatro di Varietà animate da Balla, Cangiullo, Sironi, Folgore - del cabaret, genere mai presente nelle storie della drammaturgia. Invece no, Antonucci gli dedica un capitolo che rivendica lo spessore culturale del genere, intrecciato alle vicende italiane. Ecco l'irresistibile ascesa de «I Gobbi», il terzetto Alberto Bonucci, Vittorio Caprioli e Franca Valeri, che nell'immediato dopoguerra romano filtravano fatti e personaggi attraverso il colino dell'ironia e della fantasia. Ecco i graffi ideologici di Parenti, Fo e Durano. Ecco Paolo Poli. Ma soprattutto, a Roma, il fenomeno-Bagaglino, la satira politica di Castellacci e Pingitore che fa incontrare tutti al Salone Margherita e sbarca perfino in tv. Gli anni '80 sono dominati da autori che andrebbero più rappresentati, e invece si preferiscono i classici, il dejà-vu che garantisce la sala piena. Così Patroni Griffi, Testori, Brusati, Carmelo Bene restano dietro le quinte. Dagli anni '90 a oggi la galassia teatro è variegata ma frantumata dalla prepotenza del piccolo schermo, dalla scomparsa della critica teatrale sui quotidiani e degli attori dediti solo al palcoscenico. Antonucci va in missione pure qui. E di ogni autore - Paradivino, Emma Dante, Celestini, Ovadia, per citare alcuni - verga identikit obiettivi ma non scialbi. A dimostrare quanto il teatro sia comunque vivo. Come del resto dimostrano i 15 milioni di spettatori annui.