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Lidia Lombardi Le giornate ancora corte si addicono a via dei Coronari.

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Ipersonaggi di una improvvisata commedia dell'arte sono i passanti e gli abitanti, che sbucano dall'intrico di vicoli medievali rinserrati da un lato per la barriera del Tevere. Le automobili sono out, il silenzio del crepuscolo regna e allora diventano dramatis personae credibilii nel loro fermarsi davanti alle vetrine degli antiquari o sulla soglia di un bar, per le chiacchiere del rione Ponte. E resta il suono dei secoli passati nel gorgoglio di una fontana, nella preghiera davanti a una Madonnella, nello scoppio di risate ai piedi della scala di quello che una volta era il Teatro di Via dei Coronari. Perché si chiama così? Perché Sisto IV ne fece il Corso, la strada più diretta per i pellegrini che nel '400 volevano raggiungere San Pietro. E allora le botteghe vendevano le corone del rosario. Si chiamavano anche paternostrari e contendevano metà della via agli scorticiani, i conciatori di pelli. Del resto, popolosa e popolare com'era, via dei Coronari aveva due anime, sacra e profana. Di quella pia testimoniano appunto il nome e le edicole ai crocicchi, con capricci barocchi o angeloni sospesi, come l'Immagine di Ponte, sul palazzo del Cardinale Serra di Monserrato. Di quella licenziosa le case rinascimentali delle prostitute. Per esempio quella di Fiammetta, la cortigiana venuta da Firenze, diventata amante di Cesare Borgia, gratificata di tre abitazioni da Sisto IV. La grazia del palazzetto, candido sopra il portico ad arcate, fa immaginare la bella affacciata alla finestra, protagonista di una recita in questa strada-teatro. E infatti appaiono come cambi di scena le piazze che la intersecano. Ecco piazza Fiammetta, appunto. Ecco piazza Lancellotti, dal serioso palazzo col bugnato, dimora della nobile stirpe capitolina: il grande e il piccolo, l'aulico e il pittoresco s'alternano qui. Di fronte alla mole dell'edificio patrizio, la rinserrata facciata di quella che una volta era la chiesa di San Simeone; e al centro una fontana tanto elegante quanto fatta di niente - la tazza tonda, lo zampillo sormontato da un'alzatina - rinforza l'armonia dello scorcio. Grande quinta scenografica, poco oltre, in una piazza che s'allarga nella facciata e nei contrafforti della chiesa di San Salvatore in Lauro. C'era un boschetto di allori, una volta, che le diede il nome. Nel '600 l'acquisì la Confraternita dei Piceni. Ma il ricordo dell'odorosa selva è rimasto e ha salvato l'appellativo originario. E sì che i marchigiani hanno plasmato tanto il complesso. L'interno della chiesa - la cupola, le colonne corinzie binate, il candore di pareti e volte - ha la firma del Mascherino, l'architetto del Quirinale. Il chiostro testimonia la presenza di un convento diventato poi collegio per studenti di medicina venuti dalle Marche. La facciata ha la dedica alla Vergine. Proprio da qui a maggio, nel giorno dedicato alla Madonna di Loreto, una processione raggiunge piazza Navona. Nel sacro corteo Roma ritrova tradizione e devozione.

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