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Quell'amore segreto nel sorriso della Gioconda

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Monna Lisa addio Nel libro di Roberto Zapperi un'ipotesi sulla realizzazione del famoso quadro

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Eforse Leonardo intuiva che quell'immagine avrebbe varcato i secoli, provocando tali e tanti esercizi di ammirazione e tali e tanti interrogativi suscitando da diventare il più fascinoso, indecifrabile emblema di tutta la storia dell'arte. Già, "chi" era la Gioconda? Perché c'è anche chi ha parlato di un'idea platonica "incarnata"; dell'armonia che trova plastica rappresentazione; di un sacro, ineffabile enigma (la biblioteca di Leonardo era ricca di testi alchemici) che l'Uomo di Vinci affida a chi abbia occhi per vedere e mente per intendere. Ma se non ci vogliamo addentrare nei sentieri dell'occulto, tenendo i piedi per terra e affidandoci ai riscontri storici, possiamo quanto meno domandarci se l'"identificazione" comunemente accettata poggi su solide basi. Come è noto, la dama sarebbe Lisa Gherardini, moglie del mercante fiorentino Francesco del Giocondo. Ma è possibile, si chiede lo storico dell'arte Roberto Zapperi ("Monna Lisa, addio. La vera storia della Gioconda", Le Lettere, pp. 126, euro 18) che una donna così "insignificante" abbia ispirato " un ritratto di così profonda ricchezza emotiva"? E ancora: è da ritenersi veramente affidabile la testimonianza del Vasari che neppure aveva visto il quadro e si era basato per l'identificazione del personaggio "su voci assai vaghe e imprecise raccolte nell'ambiente fiorentino a distanza di troppi anni per poter meritare un qualche sia pur minimo credito"? Infine: perché in quasi tutti gli studi viene sottovalutata la testimonianza di Antonio de Beatis, segretario del cardinale d'Aragona, che, nell'ottobre del 1517, vide il quadro nello studio di Leonardo, allora ospite del re Francesco I, nel castello di Cloux, presso Amboise? Ebbene, considerando ciò che Leonardo aveva detto a de Beatis e che il segretario del cardinale fedelmente riferisce nel suo diario di viaggio, la pista da seguire appare quella che porta al committente indicato dal pittore: Giuliano de' Medici, uno dei tre figli di Lorenzo il Magnifico, nonché il primo destinatario, nel 1513, del "Principe" di Niccolò Machiavelli. Ed è scavando nella vita di Giuliano che Zapperi- già docente all'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi- "porta alla luce" una "Gioconda" più "credibile" di Lisa Gherardini. Una "Gioconda" con cui Giuliano aveva avuto una relazione ad Urbino, presso la corte dei Montefeltro, dove, in fuga da Firenze a seguito di svariate traversie politiche, era stato generosamente accolto. E qui- in uno spazio eletto, dimora di intellettuali come Pietro Bembo e Baldassare Castiglione- il nobiluomo fiorentino si era per l'appunto distinto come "maestro di giochi amorosi e di galanteria cortigiana". Attingendo a una copiosa mèsse di affascinanti- e disponibili- dame, alle cui grazie volentieri si concedeva, evitando però ogni vincolo impegnativo. E la relazione con Pacifica Brandani, una donna sposata, avrebbe dovuto essere, nelle sue intenzioni, uno dei tanti amori passeggeri che non lasciano traccia durevole. Ma la traccia ci fu: un figlio. Nato probabilmente il 18 aprile 1511, come conferma il registro della confraternita urbinate dove fu "esposto". In quei giorni, Giuliano non si trovava ad Urbino. Vi ritornò per riconoscere il bambino come figlio naturale e per provvedere ad allevarlo a sue spese. Il piccolo cui la confraternita urbinate aveva dato il nome di Pasqualino, fu ribattezzato, per volontà paterna, con un nome dalla "matrice" inequivocabilmente mitologica ed anticheggiante": Ippolito. Un bambino amatissimo, Ippolito, e non solo da Giuliano, ma anche dal fratello Giovanni che, tornata in auge la famiglia dei Medici, salirà al soglio pontificio nel 1513 col nome di Leone X. Giuliano, trentaquattrenne, scarsamente interessato alla politica, ma in compenso fortemente attratto dalle lettere e dalle arti, contribuirà a dare splendore alla corte papale, chiamando al suo servizio uomini d'ingegno. Come Leonardo da Vinci. E fu proprio durante gli "anni romani" che dovette esser commissionato al pittore il ritratto di cui lui stesso avrebbe fatto cenno al cardinale d'Aragona. Ma di quale delle tante donne amate da Giuliano si trattava? Solo una poteva ridestare il suo ricordo fino al punto di ordinarne il ritratto a Leonardo: Pacifica Brandani, la madre di suo figlio Ippolito, a lungo chiamato teneramente Ippolitino. Pacifica, morta da tempo, ma della quale era giusto restasse visibile memoria. Così, "lasciò libero Leonardo di ricostruirne la fisionomia, sulla base di una sua descrizione verbale sommaria e del tutto approssimativa". Dunque, il ritratto di cui parla Antonio de Beatis, "era un ritratto immaginario, dipinto dall'artista di sua invenzione". E' questa la vera storia della Gioconda? La ricerca di Zapperi, che si addentra tra le mille vicende del dipinto, è documentata e argomentata. E ben s'accorda con il mistero che da secoli ci chiama ad una muta contemplazione. Un mistero umanissimo. Quello dell'amore e della maternità sublimati dall'arte. Per sempre.

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