di Lorenzo Tozzi Fa parte integrante – e ne costituisce anzi la vetta più alta - del «made in Italy», del prodotto italiano doc più diffuso nel mondo.
Eppurebasterebbe prendere esempio dall'Europa che conta (anche economicamente). Agli svettanti acuti di tenori e soprani lirici da noi fanno troppo spesso da fastidioso contraltare notizie di scioperi improvvisi, manifestazioni, rimostranze delle cosiddette masse artistiche che lasciano spesso l'amaro in bocca al pubblico degli appassionati spesso increduli, quando non irritati, dinanzi al forfait inatteso. Per scambiarsi opinioni ed informazioni utili su Facebook gli operatori lirici (cantanti ma non solo) si sono addirittura giustamente coalizzati sotto il titolo significativo di Carica dei 100&1. È notizia di questi giorni ad esempio che al Maggio musicale fiorentino, istituzione di gloriosa tradizione, rischia di saltare la prima della Walkiria wagneriana, prevista sotto la direzione di Zubin Mehta e con la regia della catalana Fura del Baus per il 15 gennaio, a causa del licenziamento, da parte del sindaco Renzi, di dieci lavoratori considerati in esubero. La minaccia è quella di impedire l'ingresso in Teatro alla direzione sinché non ci sarà un commissario o un radicale cambio di rotta. Va innanzitutto chiarito che chi lavora nel settore lirico merita rispetto e non è certo un privilegiato, costretto come è a turni intensi, ad orari estremamente mutevoli e spesso stressanti tra prove, recite, tournées, matinées, festivi e prefestivi compresi. Chi fa musica insomma è privilegiato solo dalla finalità del suo lavoro, ma farlo per professione comporta stress nervoso ed acustico (si legga il recente volume del neurobiologo Oliver Sacks che mette in guardia tra l'altro da ipoacusie dovute a stress). Ciò detto va però anche notato che bisogna distinguere tra protesta e protesta. Il problema è che il contratto nazionale di lavoro non prevede spesso delle eccezioni che poi vengono sindacalmente rivendicate al momento opportuno. Dunque ancora una volta il difetto sta più nel manico che nel lavoratore. Altra assurdità la richiesta di indennità aggiunte, sempre alla Scala, da parte del coro che doveva cantare in costume, accompagnando la musica con la testa, nel Romeo e Giulietta di Berlioz recentemente realizzato in danza da Sasha Waltz. Sembra quasi che bizantinamente non ci si renda conto che ormai si balla (e si canta) sull'orlo del baratro, a causa di una crisi che non ha risparmiato il settore. A trionfare dovrebbero difatti essere sempre le ragioni della musica sopra quelle individuali o corporativistiche. Ma questo richiederebbe una sensibilità deontologica, civica e «politica» che spesso dalla scuola non è stata fornita al musicista che invece si irrigidisce in indignazione e protesta di fronte alla conduzione a dir poco leggera dei carrozzoni lirici da parte di superpagati direttori artistici incompetenti, di sovrintendenti impreparati ma con stupendi da veri capitani di industria. Non lontano da Roma ce n'è anche qualcuno che usufruisce, tra prebende, direzioni, consulenze e pensioni, di ben 5 succulenti appannaggi. Magari senza essersi mai neppure cimentato con una pagina di elementare solfeggio musicale. Ad esempio anni fa l'orchestra della Scala minacciò lo sciopero per il solo fatto di dover suonare in un'opera contemporanea di Luigi Nono senza il frac di rito, ma in abiti quotidiani. Altro discorso è da fare sul rigonfiamento non degli organici musicali (previsti dalla prassi musicale) ma dei cosiddetti amministrativi, che spesso raggiungono immotivatamente il numero dei professori di orchestra. Motivata invece la protesta dei ballerini dell'Opera di Roma, che qualche mese fa denunciavano la scarsità numerica della compagnia (una settantina di elementi contro i 140 dell'Opéra di Parigi). Una richiesta legittima che vedeva a rischio non solo il repertorio classico ma anche la sopravvivenza stessa della compagnia. Tutto andrebbe insomma regolamentato sin dall'inizio (ben inteso anche l'ingaggio di direttori artistici e sovrintendenti, sottraendolo alla inaffidabilità della politica) ma poi, per il bene della musica e rispetto del pubblico, dovrebbe alla fine sempre prevalere il buonsenso, nella consapevolezza dell'alta missione culturale perseguita. Una consapevolezza che però deve esser condivisa, e non solo a parole, anche dalla classe politica che si ricorda della musica solo nelle celebrazioni ufficiali.