Mito intramontabile dell'Occidente
Equesta fu la sua fortuna: perché è riuscito a toccare il cuore di ogni persona che l'ha letto, trasmettendo una sua «filosofia», come mai nessun filosofo è riuscito a fare. «Siddharta», dall'anno della pubblicazione, il 1922, ma ancor più dopo il Nobel per la Letteratura preso dall'autore nel '46, è il simbolo stesso dell'irrequietezza degli adolescenti e di tutti i dubbi delle generazioni giovanili. Ed è sicuramente in un romanzo memorabile come «Siddharta» che trova le sue radici il mito nato in Occidente dell'India e, più in assoluto, della magia dell'oriente, che appare come un mondo salvifico, incontaminato, fatto di spiritualità e pacifismo. Un mito senza dubbio positivo, ma che ha radicate, nel suo profondo, numerose, terribile bufale. Certo è che l'India che, per forza di cose pretende l'aggettivo «misteriosa», sarà pure un paese di fachiri e di santoni, ma che sia tanto pacifica e meditativa è tutto da dimostrare. Chi non ci crede dovrebbe provare ad attaccare briga con dei monaci buddisti che sapranno sì levitare, ma sanno anche farsi rispettare, se serve, con le mani. Il trionfo del mito dell'India in Occidente fu certamente negli anni Sessanta, quelli dei «figli dei fiori» i quali era convinti che tutti, appunto in India, condividessero il principio di mettere dei fiori nei cannoni. Alla leggenda di un'oriente magico e salvifico contribuì in maniera decisiva il gruppo musicale più celebre del mondo, i Beatles, che, capitanati da John Lennon, nel 1968 volarono in India per frequentare un corso di meditazione trascendentale. Furono seguiti, oltre che dalle loro famiglie, da un esercito di fotoreporter e giornalisti che documentarono ogni momento del viaggio. Che di sicuro diede ottimi frutti, visto che i Beatles in India scrissero canzoni per i loro più celebri album: «The Beatles», «Abbey Road» e «Let It Be». Vero anche però che quello, il 1968, fu l'anno di uscita di una divertente commedia di Blake Edwards che prende in giro la mania dei ricchi americani dell'epoca per le «cose indiane». In «Hollywood Party» uno strepitoso Peter Sellers è un attore indiano che, per vivere negli Stati Uniti si adatta a fare la comparsa, combinandone di tutti i colori. Miti e «bufale» indiane a parte l'evergreen «Siddharta» è tornato da un po' di giorni in libreria in una nuova, bella edizione di Adelphi, 280 pagine, 18 euro, proposto nella storica traduzione dell'intellettuale antifascista Massimo Mila, che portò a termine il lavoro nel carcere di Regina Coeli, mentre scontava la condanna del Tribunale Speciale. Il segreto di Hesse? Non riesce mai ad apparire irraggiungibile, nonostante sia un gigante della cultura mondiale. Il suo Siddharta è un amico in difficoltà, che suscita simpatia e affetto, lasciando da parte l'India, quella vera e quella di cartone.