Cosa canterebbe oggi Giorgio in questa Italia decadente

Inpochi se lo ricorderanno ma de «Il minestrone», film del 1981 di Sergio Citti, Giorgio Gaber fu interprete, nella parte di un santone, assieme ad un giovane Roberto Benigni, a Franco Citti e Ninetto Davoli. Era la storia di alcuni individui, raggruppati in una specie di armata Brancaleone della fame, che vagabondavano per l'Italia al minimo sospetto di cibo all'orizzonte. Oggi a girovagare, oltre agli italiani a caccia di lavoro ed alle prese con la crisi, è la politica, confusa e in cerca di autorevolezza (più che di cibo) da riconquistare. Se Giorgio Gaber fosse qui chissà cosa canterebbe del ritorno del Cavaliere, per la sesta volta, lui, milanese come Silvio Berlusconi. Oltre dieci anni fa, nel maggio del 2001, in un incontro a Torino con centinaia di studenti universitari disse: «Non voto dal '74 o dal '75, non ricordo più, per il semplice fatto che non mi sento rappresentato da nessuno. Ho votato per il Pci e mi piaceva, ora non c'è più neppure il partito, così non mi sento tanto in colpa. In Italia la situazione politica è cambiata molto: nel dopoguerra il 50% degli italiani era di sinistra e l'altro 50 di destra, ora il 50% e di centro-sinistra e il restante 50 di centro-destra». Quanto a Berlusconi, «non lo conosco, non mi piace, né potrei mai essere di destra fisicamente, ma non credo sia il demonio, vedrete che non cambierà nulla. Si lo so è un aziendalista che pensa che lo Stato vada trattato come un'azienda, ma anche la sinistra ha chiamato le Usl, Aziende Sanitarie Nazionali, il senso della storia passa per lì ora». Se Gaber fosse qui chissà cosa direbbe del Pd e del suo leader, Pierluigi Bersani, lui che a sinistra lo hanno citato spesso, Massimo D'Alema compreso, che una volta - anno 1989 - per commentare un discorso del leader socialista Bettino Craxi ironizzò, dicendo che gli ricordava «una vecchia canzone di Gaber, far finta di essere sani». E dei tecnici, lui che incontrò pure gli studenti della Bocconi, cosa penserebbe? Della leadership di Mario Monti e dell'impegno (senza candidatura) di Luca Cordero di Montezemolo? Lui - Giorgio Gaber - così scanzonato: «Tutti questi politici - spiegava nel 2001 - parlano di cose che a me e, credo, alla gente interessano poco; sono tutti presi a autodefinirsi, a fare le loro cose; sono un po' come le previsioni del tempo in televisione, dove ti fanno vedere tanti diagrammi con freccette, movimenti e percentuali e tu, che non ci capisci niente, aspetti solo il disegnino finale con i solini, le nuvolette, i lampi e la pioggia, così capisci che tempo fa. Tutti parlano del Nasdaq e robe del genere, ma chi ci capisce niente». Gli piacerebbe oggi il comico genovese a 5 Stelle, Beppe Grillo? Oppure no? Loro che insieme (ma assenti) sono stati accanto nel titolo di un programma tv (condotto da Arnaldo Bagnasco e Toni Garrani), «Aspettando Grillo, Mina, Battisti e Gaber», dedicato ai «grandi assenti» (tra cui, appunto, Grillo e Gaber) dalla televisione ed in onda lunedì su Raitre alle 22,45, nella primavera del 1992. Loro, Gaber e Grillo, che nel 2002 firmarono (con decine di altri personaggi) un appello in favore di Striscia la Notizia (e contro il bavaglio al Gabibbo), condannata per aver trasmesso immagini captate fuori onda alla Rai (in particolare, uno dei brani registrati e poi non trasmessi dalla Rai si riferivano a un vivace dialogo tra gli scrittori Gianni Vattimo e Aldo Busi). Oggi - tra Bersani, Berlusconi (alla sesta), Mario Monti e Grillo - se Gaber fosse qui, chissà, forse non direbbe proprio nulla: da tanti, troppi, anni lo citano tutti; persino un ex democristiano come Pierluigi Castagnetti, dieci anni fa, in piena fase di genesi della (oggi fu) Margherita, disse: «Io sto con Gaber quando dice: "Non ho paura di Berlusconi in sé ma di Berlusconi in me"». Perché, poi, se il minestrone col passare degli anni non muta mai molto e si riscalda sempre, beh forse è perché aveva ragione quel dritto di Leo Longanesi: «Se c'è una cosa che in Italia funziona è il disordine».