di Stefania Monaco «Non m'importa un fico secco» è un espressione usata e condivisa per tutta Italia.
Quellidi Colavolpe ad esempio, azienda a cui dei fichi secchi gliene importa, eccome! Sin dall'inizio del 1900. Oggi da Belmonte Calabro si esportano le tradizionali crocette di fichi secchi in tutto il mondo. La frutta secca più allegra è di sicuro la mandorla grazie anche alle sue proprietà antidepressive, antinfiammatorie, rinfrescanti e riequilibranti dell'umore; una grande risorsa del Sud Italia dove un tempo se ne coltivavano oltre 700 tipi. A Noto si preparano vari biscotti, tra i più golosi i mustazzoli (farina, miele, mandorle secche e buccia di arancia fresca) e i faccioni (mandorla secca tostata, farina e zucchero, speziati con chiodi di garofano, cannella e ripieni di marmellata di arancio, mele cotogna, mandarino e pera, rivestite poi di zucchero colorato rosa e marrone). A chi non piacciono le arachidi? Stanno benissimo sulla tavola delle feste anche per un aperitivo. Esistono quelle italiane prodotte da qualche anno tra Veneto, Piemonte ed Emilia. La castagna secca è un altra leccornia natalizia. Si può servire bollita nell'acqua con qualche foglia di alloro oppure preparando il piatto ligure raracòu: si mettono a bollire con il cavolo rapa e a fine cottura si serve con un filo d'olio nuovo. Tradizione vuole che in tavola arrivino anche le noci. In Italia sono buonissime quelle di Sorrento provenienti da alberi secolari: un tempo si tiravano come buon augurio ai matrimoni al posto dei confetti. Poi c'è la nocciola piemontese, forse la più buona al mondo. Provare per credere! Per chiudere in bellezza quel che ci vuole è un po' di giuggiole o datteri cinesi; di origine Siriana l'albero spesso si vede nei vecchi giardini perché, si dice, porti fortuna. Quando i frutti sono marroni con l'interno verde sono ancora acerbi e sanno di mela. Poi appassiscono fino a diventare secchi e gustosi come datteri. Un frutto straordinario da rivalutare. Ad Arquà Petrarca, nel padovano, si prepara un ottimo liquore lasciando appassire un chilo di giuggiole per un paio di giorni, poi una volta denocciolate si mettono in una pentola ricoperte d'acqua. Si aggiungono gli acini di 2 grappoli di uva zibibbo e un chilo di zucchero. Si cuoce per un'ora a fuoco dolce, poi si aggiungono 2 mele cotogne e due bicchieri di cabernet, si alza la fiamma e si fa evaporare il vino. Verso fine cottura (quando si sta gelificando), si aggiunge la buccia di un limone grattugiato. Si porta ad ebollizione fino a creare uno sciroppo cremoso si passa, e una volta raffreddato e sigillato in bottiglie sterili, si lascia al fresco e al buio. Una volta pronto, ecco a voi il famoso brodo di giuggiole.