Il segreto del bue e dell'asinello

Perméttimidi pregarti di festeggiare il giorno della tua natività parlandoti del bue e dell'asinello. Invitandoti anzi a parlarne tu stesso al papa. Che dell'argomento discorre con grande dottrina nel terzo volume, dedicato appunto alla tua nascita, della trilogia che ti ha voluto dedicare. Domattina, dopo la prima poppata, salta dunque giù dalla mangiatoia in cui ti hanno deposto, nella grotta di Betlemme, abbraccia e saluta la mamma e il babbo, vola sùbito a Roma in forma di angioletto alato, atterra a piazza San Pietro, pòsati per qualche istante sul presepe che ti onora al centro del sagrato (ma che forse non troverai di tuo gusto) e guàrdati un po' intorno senza lasciarti intimorire troppo dal grandioso ma un po' tetro colonnato che si spalanca davanti a te promettendo un abbraccio vagamente minaccioso. Rivolgi quindi in segreto un affettuoso rabbuffo all'anima del povero Gian Lorenzo Bernini (così si chiamava l'artista che quattro secoli fa concepì quel maestoso capolavoro dell'architettura cattolica in salsa trionfalistica), ma contestualmente consòlalo facendogli sapere che, poiché ti è stato appena rivelato che fu un napoletano un po' pazzòide, hai deciso di perdonargli il peccato del concepimento di quelle pompose colonne. Fatti infine il segno della croce, riparti in volo verso la Basìlica, infìlatici dentro, sorvolando le teste dei molti fedeli che vi troverai raccolti in preghiera, dirìgiti verso il grande altare centrale, e quando lo avrai raggiunto, volteggiando graziosamente fra le quattro grandiose colonne tòrtili che circondano quella imponente mensa marmòrea, ammira per qualche istante in silenzio la solenne cerimonia che vi si sta svolgendo, férmati presso il capo del pontefice, accòstati al padiglione del suo orecchio destro, salùtalo chiamàndolo «caro Vicario mio su questa terra», e, soffiandogli nel condotto uditivo parole leggere come ali di farfalla, òrdinagli col dovuto garbo di prepararsi a spiegare al popolo delle sue pecorelle, con parole semplici e chiare (tali cioè che possano capirle anche quei meschinelli - i «poveri di spirito» - che proprio tu, fra qualche anno, nel più famoso discorso della tua vita, chiamerai «beati»), la vera ragione per cui accanto a te, nella grotta in cui sei appena nato, ci sono appunto un asinello e un bue. «So bene» gli dirai «che tu hai recentemente riproposto il delicato problema nel tuo libro su di me. So anche che nelle pagine sulla mia nascita, al termine di una dotta analisi dei passi biblici che la annunciarono, hai concluso che il bue e l'asinello simboleggiano l'umanità composta da due gruppi distinti, i giudei e i genili, che la rivelazione della mia nascita dovrà conciliare insegnando loro a venerare lo stesso Dio. Bene: suppongo che la tua interpretazione sia corretta. Ma io, non essendo né un teologo né un biblista, non ho nessun titolo per pronunciarmi sull'argomento. Credo tuttavia di sapere quello che sanno tutti, credenti e non credenti. Che cioè quel bue e quell'asinello, essendo stati introdotti nella pietà popolare da un certo San Francesco, quello che inventò il presepe, e che scrisse anche un celebre Cantico delle Creature, rappresentano in primo luogo l'estensione della mia buona novella a tutte le creature della terra, comprese le più umili». Espletata questa missione, fa magari un volo fino a Napoli, i cui presepi più di tutti gli altri onorano la portata universalmente creaturale del significato del tuo avvento, e férmati un istante davanti a quell'assoluta meraviglia, sempre esposta in una sala del Museo di San Martino, che è il fantastico presepe Cuciniello - quel sublime impasto di realismo terrestre e di fiabesco celeste scaturito dal cuore dell'età barocca, dove anche l'asinello e il bue, come tutte le altre figure della scena, sono raffigurati con soave perizia da non si sa quale grande maestro pastoraio settecentesco. Torna quindi nella tua grotta, riaccùcciati nella tua mangiatoia, rivolgi un pensierino alla tua mamma e al tuo babbo, strizza l'occhio all'asinello e al bue, fatti un bel sonnellino, e al risveglio lasciati incantare dai versi insieme astuti e tenerissimi con cui un grande maestro dell'età barocca, il poeta napoletano Giovanbattista Marino, geniale decifratore del senso di tutte le antiche fiabe - pagane e cristiane, - nell'ultima ottava del primo libro del suo poemetto «La strage degli innocenti», riassunse il senso dell'evento natalizio: «Già per regnar, per guerreggiar non nasce | Fanciullo ignudo e poverel negletto, | Cui donna imbelle ancor di latte pasce, | In breve culla, in pochi panni stretto. | I guerrier son pastor, l'armi son fasce, | il palagio real rustico tetto, | pianti le trombe, i suoi destrier son due | Pigri animali: un asinello, un bue».