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di Gabriele Simongini Immaginate una città interamente «verde», affollata da ville e giardini che superavano in quantità e qualità chiese e palazzi.

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Cosìci aiuta a rivivere quel sogno di un tempo che fu ma anche a conoscere meglio le radici del nostro presente «verde» un volume prezioso, l'«Atlante storico delle Ville e dei Giardini di Roma», curato da Alberta Campitelli e Alessandro Cremona e pubblicato da Jaca Book. Un'impresa del genere, ammirevole per rigore scientifico e chiarezza divulgativa, meriterebbe un plauso anche solo per l'apparato fotografico, ricchissimo e splendido. Ad esempio gli scatti a volo d'uccello su ville e giardini, con riproduzioni a doppia pagina, sono uno spettacolo nello spettacolo e permettono di apprezzare i criteri di armonia geometrica della struttura di tanti parchi, che si può cogliere solo dall'alto. Il volume, con la sua scansione cronologica che dal Medioevo arriva al XX secolo, ha il pregio di superare l'esclusiva attenzione di molti studiosi per la fioritura rinascimentale e barocca di ville e giardini, secondo una concezione storica ormai antiquata che si fondava sull'alternanza di epoche di magnificenza e periodi di decadenza. Fra le pagine più belle dell'Atlante vi sono proprio quelle dedicate a periodi sottovalutati, come il Medioevo o la fine dell'ottocento e la prima metà del Novecento, epoche in cui la storia di ville e giardini ci permette di conoscere meglio l'evoluzione della città stessa. In pratica la storia «verde» di Roma, col suo mirabile intreccio di arte e natura, coincide inevitabilmente, fra alti e bassi, con quella urbanistica e sociale. Nel volume si scopre che dal Medioevo al Cinquecento la diffusione di abitazioni con giardino coinvolse le aree urbane all'interno delle Mura Aureliane. Tutto cambia successivamente, con il trionfo della scenografica grandiosità barocca ma anche con la rinnovata disponibilità d'acqua. Col fine di suscitare meraviglia nascono Ville immense che spaziano anche fuori le Mura, allineandosi lungo gli assi delle più importanti vie consolari e talmente ampie da comprendere zone dedicate alle battute di caccia. Ed ecco appunto Villa Borghese, Villa Ludovisi, Villa Pamphilj e Villa del Pigneto Sacchetti. Nel Settecento, sia pure con minor tripudio di mezzi, sorgono i raffinati «casini» di campagna voluti da cardinali che collezionano straordinari reperti archeologici. All'inizio del secolo successivo, all'epoca del Governo francese e con l'affermazione di nuove classi sociali, i giardini diventano elementi di decoro urbano ad uso pubblico. Poi, quando Roma diventa capitale d'Italia, si assiste alla distruzione di alcune fra le più belle ville cittadine, soprattutto all'interno della cerchia delle Mura Aureliane, per consentire l'espansione urbana portata avanti dal connubio scellerato fra costruttori-speculatori e spregiudicati amministratori pubblici. Ne è emblema, come racconta Bianca Maria Santese nell'Atlante, lo scempio di quella che era forse la più ammirata fra le ville storiche romane, la magnifica Villa Ludovisi. Il principe Ludovisi, trascurando, secondo le parole infuocate di Gabriele D'Annunzio, «ogni senso estetico, ogni rispetto del passato», firmò nel 1886 la Convenzione, con il Comune di Roma e con la Società Immobiliare, per la lottizzazione dei terreni, decretando la distruzione della villa. Nel giro di un anno non rimase più nulla dei viali, degli alberi, della fontane e degli arredi. Una perdita impressionante. Nel frattempo erano nate le ultime ville nobiliari, fra cui spicca Villa Torlonia, «l'ultima impresa del mecenatismo romano», sorta nell'Ottocento per superare la magnificenza di Villa Borghese e a cui Alberta Campitelli dedica un pregevole paragrafo. La politica del verde pubblico vede un'ulteriore fase di affermazione nel periodo del Governatorato, dal 1925 alla caduta del regime fascista: ogni anno, per la ricorrenza del 21 aprile, Natale di Roma, Mussolini inaugurava con entusiasmo un giardino pubblico. In seguito, la guerra, il boom economico, una disordinata politica urbanistica, hanno portato fino agli anni Settanta del secolo scorso ad un crescente disinteresse per il verde storico cittadino. Poi, a poco a poco, con il risvegliarsi di una coscienza ecologista accompagnata dalla nuova consapevolezza del valore storico di ville e giardini, ha preso corpo una decisa inversione di tendenza e molte ville private, abbandonate da decenni, sono diventate pubbliche ed accuratamente restaurate. La sfida di oggi è assicurare un'adeguata manutenzione a spazi bellissimi ma non di rado trascurati per carenza di fondi.

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