Giù le mani dalla gara dei gorgheggi
Haivoglia a dire che lo avrebbero spostato per l'anticiparsi delle elezioni politiche, per evitare l'ingorgo della satira in tempi di par condicio che avanza, per non far detonare quel dittongo televisivo Fazio/Littizzetto contro il Cavaliere con gli annessi comici di quelli che il Berlusconi non lo amano. E allora che canzone sia, sulla riviera dei Fiori, dove la Liguria si trasfigura in Francia, a febbraio, dal 12 al 16, in tempi di Carnevale e di primavera alle porte. Sanremo e la sua musica pop sono una controstoria nazionale, popolare, fatta di uomini e donne che non hanno visto i primi film di Moretti né gli ultimi di Antonioni ma hanno ascoltato «chi non lavora non fa all'amore» di Celentano, «volare» di Modugno, la «felicità» in un bicchiere di vino di Al Bano e Romina, le «storie di tutti i giorni» di Fogli, la «terra promessa» di Ramazzotti, Nilla Pizzi e Renato Zero, Marco Carta ed Emma. È il popolo che gorgheggia sotto la doccia quello che passa e che guarda ogni anno Sanremo, viaggio nel pentagramma di un Paese stiracchiato tra l'agire alto e responsabile e il fottersene cantando: «E basta che ce sta 'o sole / ca c'é rimasto 'o mare / 'na nenna core a core / 'na canzone pe' cantá / chi ha avuto, ha avuto, ha avuto / chi ha dato, ha dato, ha dato / scurdammoce 'o passato / simmo 'e Napule, paisá». Per questo niente è meno italiano della par condicio applicata alla musica: visto che non slitta questo benedetto Festival, lasciatelo essere se stesso, con i suoi fronzoli, le sue prese in giro, i suoi alti e i suoi bassi. E se la politica si lamentasse, mettendosi a contare le canzoni di destra e di sinistra, il comico Tizio e l'ospite Caio, col bilancino del salumiere, mandatela all'Inferno la politica. Cantatele quella cara, vecchia, litania del disincantato Sordi, il più italico tra gli attori nazionali: «Me sarò chiesto cento, mille volte / io che nun so né re, né imperatore / che ho fatto pe' trovamme stà reggina / ner letto, fra le braccia, in fonno ar còre / e datosi che sei così prezziosa / stasera io te vojo dì 'na cosa: te c'hanno mai mannato a quer paese / sapessi quanta ggente che ce stà». Perché Sanremo è un sacramento, una rima eterna che risuona con innamoramento - smarrimento - depensamento. Un do-re-mi sulla crisi. E guai a chi ce lo tocca, perché in Italia le commedie finiscono in un matrimonio e le elezioni con un Festival. Della canzone.