Tutte le sirene del mare
Cosìcantavano Dalla e De Gregori, evocando uno dei temi più cari ai musicisti di tutti i tempi. Senza scomodare «La Mer» di Claude Debussy, i nostri cantautori hanno attinto a piene mani all'immaginario marino, facendosi cullare sulla riva dalle onde o cavalcando il mare in tempesta. Noto e ignoto si incontrano al largo. Dove l'oceano è la reificazione delle paure, del senso di impotenza dell'uomo di fronte all'ineluttabilità degli eventi. Ne è cosciente Ivano Fossati che in «Questi posti davanti al mare» parla di «noi che siamo gente di Riviera dove passano i cuori d'avventura». E ne parla più esplicitamente in «Dancing sopra il mare»: «Siamo voci erranti cui oggi e soltanto oggi la terra all'orizzonte tenue di nuovo appare». Chi ha dedicato un intero concept al mare della sua Liguria è Fabrizio De Andrè. Nel brano che dà il titolo all'album «Crêuza de mä», Faber ci racconta alla stregua di Conrad. Racconta di marinai che, tornati dal mare descritto come «un posto dove la Luna si mostra nuda» e dove la notte ha puntato il coltello alla gola, vanno a mangiare alla taverna dell'Andrea, che sta in una casa di pietra, e pensano a chi vi potrebbero trovare. De André parla delle loro sensazioni, la narrazione delle esperienze provate sulla propria pelle, la crudezza d'essere in balìa degli elementi. Sanno di non appartenere alla terraferma ed è per questo che ripartiranno. Prima o poi. Come in «D'ä mê riva» che chiude idealmente il discorso sull'eterno viaggiare. Un marinaio parte per un nuovo viaggio e saluta con un triste canto d'addio l'innamorata che lo guarda dal molo della sua città. Siamo a Genova ma potremmo essere ovunque. La Genova di De Andrè è uno stato d'animo. Eterno viaggiare. Come Ulisse. Come Vinicio Capossela che lo canta sghembo nella sua «Vinocolo», ispirata all'episodio omerico tratto dall'Odissea, libro IX, in cui Ulisse, per fuggire dalla spelonca del gigante monocolo Polifemo, lo ubriaca col vino donatogli da Marone per poi accecarlo con un palo d'ulivo arroventato. O ancora «Le Pleiadi» che mescola la storia di Penelope, moglie di Ulisse che lo attende a Itaca tessendo e disfacendo la sua tela, e la potenza evocativa, sotto forma di guida per i naviganti, della costellazione delle Pleiadi. Fino a «Calipso» e «Le Sirene». La prima è ispirata al Libro V dell'Odissea, in cui Ulisse si trova sull'isola di Ogigia, prigioniero della Ninfa Calipso, che lo amò e lo trattenne sull'isola per sette anni. Nel suo «Marinai, profeti e balene», Capossela dialoga con Melville ne «Il Grande Leviatano» che appare in «Moby Dick». E poi ancora con il Céline di «Scandalo negli abissi» cantato in «Pryntyl». Fino a «I fuochi fatui» con i dialoghi tra marinai e ufficiali, la battuta del rum del ramponiere Tasthego, gli incontri con altre navi e i monologhi di Achab. Se Vinicio si veste da marinaio e si mette al timone come un capitano di ventura, Paolo Conte si fa trascinare via. Alla deriva. «Onda su onda/il mare mi porterà/alla deriva/in balia di una sorte bizzarra e cattiva/onda su onda/mi sto allontanando ormai/la nave è una lucciola persa nel blu/mai più mi salverò». Tra flussi e riflussi torna Lucio Dalla che aveva fatto delle Tremiti in Puglia la sua seconda dimora. Ben sapendo di poter essere libero solo lì. «Certo/Chi comanda/Non è disposto a fare distinzioni poetiche/Il pensiero come l'oceano/Non lo puoi bloccare/Non lo puoi recintare/Com'è profondo il mare».