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di Massimiliano Lenzi Berlusconi e la Costituzione, l'uno accanto all'altra, unite per tramite della voce di Roberto Benigni, tra satira (per il Cavaliere) e celebrazione (per la Costituzione).

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Davivisezionare sul palco, prima di andare al leggio, Silvio Berlusconi, il politico che ritorna: "Brutte notizie a dicembre, due. Una la sapete tutti, è che fra quattro giorni, il 21 dicembre, è prevista la fine del mondo. Ma c'è stata un'altra notizia terrificante". È Silvio, ancora lui. "La più bella del mondo" comincia così, tra anatomia e autobiografia di una nazione, che si confondono, l'una con l'altro. Poi, come un personaggio di un romanzo di Franz Kafka, Roberto Benigni entrando nell'esegesi della Costituzione italiana, nella litania dei primi 12 articoli, quelli sui principi fondamentali, stantii ma non defunti, compie l'atto della sua metamorfosi. Si trasforma da comico fustigatore (soprattutto del Cavaliere) del testo e della parola, nel cantore del Pantheon italico. Celebrante, come un prete nel dire Messa che segue sempre la stessa liturgia senza per questo smarrire la forza dei sacramenti: la comunione, la preghiera e il congedo. I tre tempi (più anteprima, con immagini della scenografia in corso di allestimento e delle riflessioni dell'attore in camerino prima della diretta) di Benigni, traslati al laico televisivo, sono così andati a scalare: quel che resta del grande satiro, dissacratore di politica (soprattutto di Berlusconi) e costume il primo atto; il cantore del bene comune e della nazione, il secondo. E il saluto alla fine, suggello al terzo atto (il tutto senza pubblicità, a parte l'anteprima, anche se un paio di break non avrebbero guastato non fosse altro per pulire la petta destra della giacca di Benigni da una macchia bianca, probabilmente trucco). L'ingresso nel Pantheon, Benigni lo ha cominciato con Dante Alighieri e la sua Divina Commedia anni addietro, quasi obbligatorio per un toscano non fiorentino e per questo nostalgico del volgare che fu per poi proseguirlo, a Sanremo, in sella ad un cavallo nella celebrazione del 150mo dell'Unità d'Italia e di Goffredo Mameli. Dante, il Risorgimento, la patria unita e oggi la Costituzione, uscita dalla Resistenza, dalla vittoria sul nazifascismo e dalla nascita della Repubblica. Dodici articoli, come gli apostoli, ognuno ancorato ad un diritto a cominciare dal quel "fondata sul lavoro", arrivo ideale e non reale. Mai come oggi che un'occupazione non si trova, Benigni incarna se stesso nell'idea di Patria che ci arriva da un trittico fatto di storia, letteratura e civismo. Dante sta sullo sfondo, quasi evaporato, materia da Purgatorio e non da Inferno, attaccato a Mameli ed al cavallo dentro l'Ariston - memento perpetuo al coraggio guascone di Giuseppe Garibaldi - ed oggi al dodecasillabo giuridico-costituzionale di ieri. Lui, il comico ed oggi cantore di Vergaio, dopo aver preso in braccio Berlinguer e, con il suo film da Oscar La Vita è bella persino il delicato tema del nazismo assassino e dell'Olocausto, stavolta culla il Belpaese. Prova, con la cadenza della pronuncia toscana - a partire dall'articolo 1 - a ritmarne l'identità, così frammentata dalle macerie della politica e della crisi, così debole per una nazione vecchia di soli 151 anni: inneggiando alla politica (come governo della polis) ed alla sacralità del diritto di voto, contro il tirarsi fuori (cari astensionisti!). Rai 1 con "La più bella del mondo" si fa così specchio dell'Italia attraverso la voce e i gesti di un attore, che si incammina (non più nel mezzo della nostra vita) nell'esegesi dei fondamenti di uno Stato libero e democratico. Tracciando - tra orale e gestuale - i confini dell'agire civile che ci siamo dati. "La sovranità appartiene al popolo"; "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo"; "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale..".. È un'ascesi, quella di Benignaccio che finisce, come i 12 principi fondamentali che dovrebbero essere il sangue giuridico e intimo della nostra coesione sociale, nell'abbraccio del tricolore, "verde, bianco e rosso" ed in musica. Con la canzone (genere della nostra identità nazionale) da Oscar e lui cantante: "Vai, la tua strada tra la gente. E allora vai, sorridi amore vai". Uno show nazionalpopolare, quello di ieri sera su Rai 1, un pieno a riempire un vuoto, oggi che la Costituzione italiana non si studia quasi più nelle scuole e l'educazione civica resta un binomio buono per i sussidiari. Nazionalpopolare e istituzionale, con tratti di poesia, come il dialogo virtuale tra Terracini e De Gasperi, padri costituenti, sull'articolo 5, "La Repubblica, una, indivisibile", con le emozioni più forti sull'articolo 3, quello dell'uguaglianza, o sul 9, la promozione della cultura. Forse non sarà la più bella del mondo ma (r)esiste la Costituzione italiana. Avrebbe potuto scegliere un registro diverso, Roberto Benigni, per cantarla, un verseggiare che si discostasse dal suo essere diventato Pantheon. Sarebbe potuto salire sull'Aventino o ancora più in alto, in un luogo simbolo dell'Italia repubblicana, ma non l'ha fatto. Lui non è assenza, come Carmelo Bene, in vetta alla Torre degli Asinelli, col corpo a scomparire, per recitare Dante Alighieri nell'estate del 1981 e commemorare l'anniversario dell'orrenda strage alla stazione di Bologna; lui, Benigni, è altro. È istituzione che necessita di corpo, di presenza e non di sparizione. Chissà se basterà tutto questo alla più bella del mondo per non scomparire: vista ieri allo specchio, con i suoi 64 anni trascorsi e la voce di Benigni a scandirla, da una parte rassicurava ma dall'altra inquietava, facendo rammentare un'amara frase del musicista francese Hector Berlioz: "Il tempo è un grande maestro ma sfortunatamente uccide tutti i suoi studenti".

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