Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Tutto invecchia Anche le grandi idee

default_image

StoriaLa Carta di Weimar aprì le porte a Hitler Ma qualcuno la definì un documento «perfetto»

  • a
  • a
  • a

Sulsuo volto si manifestano le rughe e gli acciacchi dell'età. L'elisir dell'eterna giovinezza (e, con esso, dell'inalterabile beltà) non è stato mai trovato. E sta lì a ricordarlo, ammonitrice, anche la drammatica conclusione della gustosa e istruttiva storia raccontata da Oscar Wilde nel Ritratto di Dorian Gray incentrata proprio sul "patto col diavolo" stipulato da un affascinante adone vittoriano per garantire a se stesso eterna giovinezza e incontaminato bell'aspetto. Purtroppo è così. E, se anche la donna più bella del mondo, malgrado i miracoli della chirurgia estetica, non sarà mai in grado di nascondere le tracce del tempo che avanza, figuriamoci se la Costituzione italiana - con buona pace di Roberto Benigni che la celebra, da par suo, come "la più bella del mondo" - può considerarsi immune dal logorio degli anni. Sempre ammesso, e non concesso, che essa davvero sia la più bella del mondo: perché, non nascondiamocelo, è sempre bene diffidare dei superlativi. Anche la Costituzione di Weimar - e lo ricordo per inciso - fu esaltata, all'epoca, come un caposaldo del costituzionalismo moderno e come il migliore esempio di una carta costituzionale di ispirazione democratico-liberale. Ma tutti sanno come andò a finire, con Hitler e il nazionalsocialismo al potere. La nostra Costituzione farà pure commuovere il piccolo diavolo toscano, ma nessuno potrà, in buona fede, sostenere che essa non abbia bisogno di molti ritocchi. E non soltanto, come generalmente si conviene, nella seconda parte, ma anche nei principi fondamentali e nella parte prima (per non dir delle norme transitorie) che, nel loro insieme, disegnano un modello di Stato certamente democratico e sociale, ma ben poco liberale, come ebbe a far notare uno studioso che di liberalismo se ne intendeva, il compianto Nicola Matteucci. La verità è che la Costituzione fu varata, all'indomani del crollo del fascismo e all'alba della nascente democrazia, sulla base di un "compromesso" fra cultura politica marxista e cultura politica cattolica con la benedizione dell'azionismo e la marginalità assoluta del mondo liberale. Non fu un caso che, durante i lavori dell'Assemblea Costituente, si stabilisse un vero e proprio feeling tra Giuseppe Dossetti, allora giovanissimo docente di diritto ecclesiastico, e Palmiro Togliatti, leader incontrastato del partito comunista. Entrambi - contro l'opinione dei giuspubblicisti di scuola liberale che avrebbero voluto produrre un documento asciutto e tecnico - sostennero (e alla fine ottennero) che fosse varato un testo impregnato di filosofia politica e di principi programmatici. Un testo, che - costruito all'insegna dell'antifascismo come cemento unificante e del mito dell'"unità della resistenza" - fosse capace di mettere insieme le acquisizioni della dottrina sociale della Chiesa cattolica con i valori affermatisi durante le lotte del movimento operaio: un testo, insomma, dove, alla fin fine, si poteva trovare di tutto, meno che la cultura e la tradizione liberali. Un grande storico, privo di paraocchi ideologici, come Renzo De Felice ha paragonato la Costituzione italiana - proprio quella Carta fondamentale che Benigni considera "la più bella del mondo" e che, come tale, vuole presentare agli italiani - alla figura retorica che i linguisti definiscono ossimoro e che accosta, quasi in un pirotecnico gioco dialettico, termini contrari o antitetici. In effetti la nostra Costituzione è aperta e rigida al tempo stesso, progressista e rispettosa degli interessi delle masse cattoliche e via dicendo. Infarcita, per questo suo carattere, di tante dichiarazioni di principio destinate a trovare tarda attuazione (o a non trovarla affatto), essa, la nostra Costituzione, a ben guardare, mostra di essere, davvero, figlia del suo tempo. E delle pulsioni "ideologiche" di quel tempo, ormai lontano. Ma, proprio per questo, appare invecchiata. E bisognosa di ritocchi. Il piccolo diavolo toscano, Roberto Benigni, suggerisce, con la sua iniziativa, la ripresa e il rilancio di quell'astratto e discusso "patriottismo costituzionale", del quale tanto si è parlato sulla scia di Norberto Bobbio. Ma il "patriottismo costituzionale" è soltanto una costruzione ideologica. E la retorica che le è propria non può nascondere il fatto che la Costituzione abbia bisogno di essere rivista e ammodernata. E, anzi, riscritta daccapo. Magari grazie a una nuova Assemblea Costituente che non si proponga di creare la Costituzione "più bella del mondo", ma una carta fondamentale che garantisca davvero il funzionamento di una moderna democrazia liberale e concorrenziale.

Dai blog