di Lidia Lombardi Le strade addobbata di luci, nei giorni più corti dell'anno.
Siamopiù spesso nel Centro di Roma. L'occasione è buona per visitare qualche mostra. Ma non ci limitiamo a guardare le opere. Soffermiamoci sul contenitore. Riscopriremo mirabili spazi, alcuni riprogettati da poco. Così, se le opere esposte ci deludono, possiamo consolarci con la cornice. Ecco cinque proposte, con relativi voti. Dieci merita il Canova a Palazzo Braschi. Perché dell'artista che plasmò Roma napoleonica troviamo 79 disegni dal Museo Civico di Bassano, molti preparatori alle sculture. Capolavori. Svelano la perfetta conoscenza del corpo umano. E reificano l'idea, il pensiero del lavoro poi realizzato. Ancora, legano a doppio filo Canova alla Capitale e alla Storia. Ecco i Castore e Polluce di Montecavallo, come si chiamava il Quirinale; i disegni per i monumenti a Maria Luisa d'Asburgo, Maria Cristina d'Austria, Alfieri, Nelson, Washington; l'Ercole e Lica per il banchiere Torlonia. E il calco in gesso di Napoleone «Marte Pacificatore»: assorto, metafisico, come tanta produzione canoviana. Che si esalta nel neoclassico Palazzo Braschi, severo all'esterno, scenografico all'interno per la scalinata irradiata dal bianco dei marmi e dalle finestre su piazza Navona. Candido anche lo sfondo del Vittoriano, dove si celebra Renato Guttuso, perfetto esempio di intellettuale organico (al Pci), e parecchio dimenticato dopo la morte, nel 1987. I giovani diranno «Chi era costui?» Proprio a loro gioverebbe la rassegna voluta nel centenario della nascita dalla Fondazione presieduta dal figlio adottivo, Fabio Carapezza. Vi troveranno i dibattiti interni alla sinistra (astrattismo o figurativismo?), il pantheon del pittore, specie nei «Funerali di Togliatti», con i divi del comunismo, da Lenin a Berlinguer. E, meno visti, nature morte e scorci di Roma dai tetti. Il bel voto si porta appresso però un meno meno per il conformismo dei pannelli biografici. Dove si ricorda l'anno in cui il bel Renato sposò Mimise, si precisa che le restò sempre legato e si tace della fondamentale liaison con Marta Marzotto, presente però nei nudi esposti. Pure su Paul Klee alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna c'è stato da ridire. La mostra prometteva molte più opere del tedesco, capofila dell'avanguardia. Però un otto tondo si merita nei dilatati spazi di Valle Giulia perché ci restituisce un Klee stregato dall'Italia: donne mediterranee ricomposte a suo modo o scorci di ville bianche dietro pini e agavi pesanti d'ombre. E perché in un laboratorio invita i bambini a misurarsi con la sua immaginazione. Mondi lontani nello spazio e nel tempo in «La via della seta» al Palaexpò, che offre l'edificio ottocentesco di Piacentini alla ricostruzione del viaggio da Oriente a Occidente dei mercanti di spezie, stoffe, profumi, attraverso Chang'an, il Gobi, Samarcanda, Baghdad, Venezia. Mostra tattile, suggestiva di odori e suoni, come un film. E Vermeer? Delude con un 6. Perché alle otto opere del Grande Olandese ne sono affiancate decine pur diligenti nel ricreare interni protestanti di una società perbenista, ma di maniera: c'è sempre un cane, l'uso del rosso e del nero, la luce dall'alto o di lato. Meglio il contenitore, le Scuderie del Quirinale ricreate dalla recentemente scomparsa Gae Aulenti. Specie nella scala interna, affacciata su tetti e cupole.