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Anche la politica italiana tornerà a riveder le stelle

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Losostiene Ferdinando Adornato nel suo ultimo ultimo libro, «SOS Italia. Come uscire dalla notte della politica e dare continuità al montismo» (Rubbettino, pp. 284, 15,00 euro). Ha ragione, naturalmente. Anche perché l'Italia, nonostante tutto, è ancora piena di gente che ritiene possibile la buona politica e che grazie ad essa vuol far valere energie e creatività che sono state umiliate da due decenni di cattiva politica, al di là delle intenzioni degli stessi che l'hanno prodotta. Adornato, da intellettuale e uomo politico di adamantina onestà, non si sottrae a prendersi la sua parte di responsabilità, ma ammette anche, non certo per invocare la clemenza del lettore, che la sua circumnavigazione del sistema partitico, da sinistra a destra per finire al centro, non gli è stata dettata da interessi specifici o personali, ma dalla volontà di ritrovare il «luogo» nel quale esercitare la ricerca di quel «bene comune» che dovrebbe essere a fondamento di qualsivoglia agire politico, a solo beneficio della comunità. Naturalmente ciò è possibile, nonostante tutto, a patto che si rimuovano, dice Adornato, gli antichi vizi che portarono all'implosione della Prima Repubblica e che si sono pericolosamente riprodotti con il devastante risultato che come allora la società politica e la società civile «si contrapposero in uno scontro che si è infine rivelato suicida» oggi si tende, a causa di un bipolarismo malinteso, anzi forse mai nato come lo si immaginava, ad innalzare il livello del conflitto per di più in presenza di una crisi economica che andrebbe governata innanzitutto con la consapevolezza che dalla sua soluzione dipende il futuro del Paese. Una rinascita nazionale, dunque, sarebbe possibile se tutti i soggetti interessati riconoscessero che il livello dell'incomprensione e dell'inimicizia, che ha portato allo «stato di eccezione» che in molti si ostinano a non vedere, è la fonte del disastro nel quale l'Italia è immersa. Insomma, se le ragioni di parte, osserva Adornato nel lanciare il suo appassionato SOS, dovessero ancora prevalere sull'interesse generale, ci sarebbe poco da stare allegri e anche le ultime once di speranza andrebbero a farsi benedire. Si può, tanto per fare un esempio desunto dagli avvenimenti di questi giorni, subordinare la particolare esigenza di sopravvivere politicamente tenendo in piedi un indecente sistema elettorale con la richiesta di election day per non dare tempo al Parlamento di riformare un bel nulla e, a tal fine, minacciare addirittura la crisi di governo come fa Berlusconi? È possibile, ancora, ritenere che un'assemblaggio di sigle e micro-movimenti, schiacciati sulla sinistra, possa autonomamente immaginare di governare il Paese (cioè la crisi) prescindendo (ben sapendo di non poterlo fare praticamente) dagli impegni sottoscritti con l'Europa? Ecco due fatti, oggettivamente inquietanti, che dovrebbero indurre i soggetti più consapevoli a lanciare l'allarme e attrezzarsi, al di là delle ipotetiche «ridotte della Valtellina» e dei trionfalismi di discutibilissime primarie sanzionate da una minoranza, ma non previste e regolamentate da una legge dello Stato. Il ché dà il senso dell'arbitrarietà e induce, comunque, Adornato a diffidare dalle sirene e ad affidarsi a chi può dare continuità al risanamento. Non vorrei, però, che Adornato si svegliasse dal suo sonno, per il momento tutt'altro che dogmatico, e si trovasse di fronte ad una realtà che non corrisponde ai suoi ragionevolissimi desideri. Potrebbe accadere che i «montiani» cui fa riferimento non abbiano l'appeal necessario per imporre al Paese, nella prossima legislatura (che prevedo dalla vita breve e tormentata) e si riducano alle elezioni ad una pattuglia di pura testimonianza parlamentare. Che cosa succederebbe? Con un centrosinistra, anzi, per dir meglio, con una sinistra-centro egemone nei numeri, ma confusa nella proposta politica ed un centrodestra inesistente, quale potrà essere il destino del Paese. Se, come dice Adornato, «il montismo è irrinunciabile per superare l'emergenza, ma non è più sufficiente se lo sguardo si posa sui grandi mutamenti che il Ventunesimo secolo pretende dalle società occidentali», come e con chi si adegua l'agenda del Professore ai nuovi bisogni? Adornato compila un lungo e dettagliato elenco delle cose da fare, ma per potersi porre di fronte ad esse con la speranza di portarne a compimento se non tutte almeno qualcuna, è necessario un ben diverso quadro politico rispetto a quello che si prospetta. E qui cade la critica al «berlusconismo» che ha ingabbiato le risorse politiche migliori del Paese impedendone di fatto lo sviluppo. La diagnosi di Adornato è spietata anche perché lui nel berlusconismo ci ha creduto. E non rinnega nulla, ma nel sottolineare un fallimento epocale scrive: «Il berlusconismo è stato uno dei più complessi, appassionati e forse inquietanti eventi della nostra Repubblica. Importanti suggestioni storiche si sono alternate con esiziali semplificazioni ideologiche. Dopo vent'anni è perciò chiaro che chi voglia preservare le prime e cancellare le seconde dovrebbe risolutamente incamminarsi oltre il berlusconismo». Sembra facile. L'Attore è coriaceo, sottolinea Adornato, resiste, vuole riprendersi la scena, «forse punta ancora sull'irresistibile meraviglia della sua recitazione a soggetto». E non si accorge che il suo tempo è scaduto. Potrebbe lasciare una traccia, avendo comunque inventato la democrazia dell'alternanza e introdotto il sistema maggioritario (al quale oggi non crede più). Ma non lo farà, come tutti coloro che ritengono di essere «unici», con grave nocumento per tutto il centrodestra. E allora? Colgo una speranza nel libro di Adornato. Le dense pagine, ricche di suggestioni e di coltissimi riferimenti, che spaziano dalle problematiche connesse allo Stato nazione alla nuova Europa, dalla fine del barocchismo politico italiano al partito del futuro, racchiudono un appello che mi sento di raccogliere: dobbiamo tornare a sentirci Italia. Perciò non basta «rincorrere nuove ingegnerie istituzionali o predisporre più efficaci modelli di governo». Sarà importante, senza dubbio, ma non basterà se gli italiani non riusciranno a riappropriarsi della loro identità e, dunque, del loro destino.

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