di Lorenzo Tozzi È stato dunque il suono degli ottoni wagneriani a festeggiare la ricorrenza di S.
Nonperò gli accenti di esaltato eroismo dell'Anello del Nibelungo, né quelli cromatici ed iper-romantici del Tristano e Isotta, bensì quelli densi e manichei del Lohengrin che, dopo L'Olandese volante ed il Tannhäuser, chiude, col superamento delle forme chiuse, gli anni di straordinario «apprendistato» di Wagner prima della definizione estetica e strutturale del rivoluzionario Musikalisch Drama e dell'opera d'arte totale (Gesamtkunstwerk), destinati a segnare indelebilmente il teatro musicale europeo della seconda metà del secolo e oltre. Fu durante un forzato riposo ai bagni di Marienbad che maturò nella mente del trentaduenne Wagner l'idea di un'opera su Lohengrin, il cavaliere dal bianco cigno, figlio di Parsifal custode del mistico Gral, cantato da tanti poemi epici medioevali. Ad attirarlo era non solo la figura del salvifico cavaliere venuto di lontano (armatura argentea, lunga spada e corno al fianco), ma anche quella di Elsa, la donna ingiustamente accusata dai pretestuosi pretendenti al trono di Brabante: il debole Telramondo e sua moglie, l'indomabile Ortrude, che instilla nella donna il veleno del dubbio sulla identità di Lohengrin. Ma la prospettiva non è solo quella contrappositiva - non solo drammaturgicamente (cristianesimo-paganesimo, innovazione-reazione, magia bianca - magia nera) ma anche musicalmente nella opposizione di modalità maggiori e minori - tra le due antitetiche coppie, con i nobili ed il Re Enrico di Sassonia ridotti a ruoli di marionette di sfondo, ma anche storica. Il tema centrale, come chiarito da Wagner, è quello romantico della solitudine dell'artista nel mondo a lui contemporaneo ed il bisogno di una fede cieca in lui da parte di chi gli è vicino. Lohengrin non è così solo il difensore dell'innocenza minacciata inviato dal cielo (il Gral), ma la quintessenza della creatività romantica esaltata qui dalla vis mitopoieutica della musica wagneriana. Nella lettura scaligera il cavaliere dai poteri soprannaturali appare però purgato di valenze mistiche e trascendenti, e indossa abiti borghesi secondo mode registiche ormai ultraconsuete (Chéreau insegna). Scompare dunque ogni riferimento storico ad un Medioevo violento e storicamente definibile, secondo anche la espressa volontà di Wagner che raccomandava ad esempio di conservare la differenziazione visiva tra Brabantini e Sassoni. Medioevale è ad esempio il ricorso alla pratica del giudizio di Dio (tra lo sconfitto Telramondo ed il trionfante Lohengrin) come istituto risolutore di faide o dissidi tra i popoli. La regia del tedesco Claus Guth non appare scontata e si annuncia nelle sue intenzioni sin dall'inizio, quando isola al centro della scena i quattro protagonisti, cromaticamente distinti un po' convenzionalmente con i toni del bianco (i buoni) e nero ( i cattivi), e pone nella penombra su praticabili multipli il variegato coro di popolo e armigeri. L'ambientazione è dunque quella borghese di età bismarckiana con grandi lampadari, l'immancabile pianoforte verticale caro ai salotti romantici, con un Enrico in divisa militare guglielmina, un Tolremondo in doppio petto ed un Lohengrin scalzo in maniche di camicia e gilet. Insomma un dramma borghese ottocentesco dove armature o lance sono rimpiazzati da frac e tube: e per cigno solo un figurante in borghese con una grande ala bianca da sventagliare alla bisogna. Nello spettacolare finale, poi, la stanza nuziale diventa un canneto acquitrinoso. Per non dire di Elsa che appare una collegiale posseduta in abito di Prima Comunione, tra schizofrenia e isterismo soggetta a facili mancamenti (cade spesso a terra e canta coricata) e una Ortrude da istitutrice severa e bacchettona o un Telramondo politicante viscido e infido. Fortunatamente la lettura musicale di Baremboim si mostra molto attenta non solo al progredire del dramma psicologico dei personaggi, ma anche a tutta la fitta ragnatela di rimandi tematici dei Leitmotive che approdano ad una unità di concezione e stile e dosa a dovere i delicati impasti orchestrali. Eccellente il cast negli impegnativi ruoli vocali con wagneriani doc a partire da René Pape nei panni del Re, di Jonas Kaufmann persino toccante in quelli del malinconico e belloccio Lohengrin, Annette Dasch, (già nel ruolo a Bayreuth dal 2010) chiamata all'ultimo momento a rimpiazzare l'indisposta Harteros, come assorta e visionaria Elsa capace di trascolorare dall'estasi mistica alla esaltazione ed allo scoramento (inutile ed anzi pernicioso il suo tentativo di umanizzare il sovrannaturale), il baritono Tomas Tomasson, debole ed imbelle Telramondo nelle mani della manipolatrice Ortrude di Evelyn Herlitzius. Alla fine dell'impegnativa performance applausi calorosi per tutti, qualche dissenso per la regia, mentre i lavoratori della Scala, dal loggione, hanno lanciato dei volantini di protesta. Poi, a sorpresa è stato suonato anche l'Inno Nazionale, cantato dall'intero cast e dagli spettatori (mistero sul perché non sia stato fatto all'inizio). Insomma una grande festa per la musica, polemica a parte.