MEDUSE ETERNE
Oggile cose non sono cambiate: gli scienziati studiano la natura per cercare di capirne i meravigliosi misteri. Ma non è una cosa semplice. Specialmente quando si parla di immortalità. Christian Sommer, un ventenne studente tedesco di biologia marina, nell'estate del 1988 studiava sulla riviera di Rapallo gli Hydrozoa, un organismo che ricorda le meduse o i coralli molli. In quell'occasione, facendo immersioni in apnea, raccolse centinaia di «Turritopsis dohrnii»: meduse. Osservando l'organismo, Sommer si accorse di una cosa curiosa: la medusa non solo non moriva, ma sembrava ringiovanire di giorno in giorno fino a ricominciare un nuovo ciclo di vita. Alcuni biologi di Genova incuriositi dalla scoperta vollero approfondire le ricerche e nel 1996 pubblicarono un dossier intitolato «Invertendo il ciclo della vita», nel quale spiegavano come i Turritopsis dohrnii riuscissero a ritrasformarsi in polipi (la fase iniziale del loro ciclo), scampando alla morte e quindi acquisendo una sorta di immortalità. Tuttavia la pubblicazione non raccolse molto interesse al di fuori del mondo accademico. Ma nell'arco di un quarto di secolo, dalle osservazioni di Sommer, ci sono stati interessanti sviluppi: si è scoperto che il processo di ringiovanimento della Turritopsis dohrnii è causato da violenti fattori ambientali, che influiscono sui mutamenti cellulari dell'organismo. L'inversione del ciclo della vita però rimane ancora un mistero. Insomma, gli scienziati non ci hanno capito molto, ma una cosa è appare certa: l'eternità non è impossibile. Il tema è stato rilanciato nei giorni scorsi dal New York Times. Però allevare questa specie di meduse in laboratorio è un'impresa ardua: l'unico a esserci riuscito finora è il giapponese Shin Kubota, in un piccolo ufficio di Shirahama, a quattro ore di distanza da Kyoto. Kubota accudisce un esemplare immortale da ormai 15 anni e continua le sue ricerche, componendo anche delle canzoni, una di queste dedicate alla sua «Scarlet Medusa». Non solo meduse nei laboratori. C'è un coleottero, il Gyrinidae, che potrebbe ispirare lo sviluppo di efficienti meccanismi di propulsione per veicoli di trasporto sull'acqua e per robot. Questo il risultato di una ricerca dell'Università del Tennessee, coordinata da Mingjun Zhang, che ha studiato i movimenti del coleottero prima del decollo. «L'efficienza propulsiva di questi coleotteri è considerata in natura una delle più abili - ha spiegato Hang - grazie al nostro studio adesso sappiamo anche il perché». I risultati sono stati descritti sulla rivista «Plos Computational Biology» e spiegano come le tre paia di zampe possedute dal coleottero hanno specifici e differenti ruoli. Le loro traiettorie di nuoto incurvate acquisiscono energia su singole traiettorie lineari, alternando le direzioni di propulsione di ogni zampa. I coleotteri in pratica battono le gambe in diverse direzioni per passare dal nuoto all'immersione: movimenti che forniscono la forza necessaria per modificare l'angolo di inclinazione del corpo e rompere le tensione superficiale dell'acqua. In aggiunta le zampe che permettono all'insetto di nuotare creano una sorta di lamina sull'acqua su cui «appoggiarsi» per lanciarsi con maggiore forza. Ma riuscire a replicare questa efficienza anche in questo caso, per il momento, è una chimera.