La voce di Mina ritorna al futuro
Elo fa anche questa volta col suo omaggio agli standard della canzone americana. Da James Taylor a Cole Porter, da Louis Prima a Elvis Presley. Canzoni scritte tra gli anni '30 e gli anni '70, melodie interpretate dai più grandi del passato e che ora rinascono con la voce della più grande cantante italiana di tutti i tempi. Ne abbiamo parlato con Massimiliano Pani, figlio di Mina e Corrado Pani, e produttore del nuovo «12 - American Songbook». Massimiliano Pani, dodici canzoni per ripercorrere quarant'anni di musica a stelle e strisce. Con quale spirito Mina ha deciso di dedicarsi agli standard? Mina vuole dare spazio alle emozioni del suo trio jazz. È un disco essenziale in cui lei non canta mai a voce piena ma quasi sempre sussurrando. Sono brani lenti e se li ascolti tutti d'un fiato ti mettono in pace col mondo. Le canzoni le ha scelte Mina o si è fatta consigliare da qualcuno? Lei non ha bisogno di consigli. D'altra parte aveva incluso tanti standard americani anche negli album di inediti. Questa volta li ha raccolti tutti insieme e ha scelto le canzoni che venivano meglio in trio. I brani sono stati registrati dal vivo in studio. Perché questa scelta così coraggiosa? Mamma voleva ricreare l'atmosfera che si respira nei jazz club durante un concerto. E quell'atmosfera ce l'hai soltanto se registri dal vivo. Poi gli arrangiamenti d'archi di Gianni Ferrio hanno fatto il resto, dando ancora più classe a tutto il progetto. Nel trio che esegue i brani ci sono Danilo Rea al pianoforte, Massimo Moriconi al contrabbasso e Alfredo Golino alla batteria. Com'è nata l'idea di questa super band? La collaborazione tra Danilo Rea e Mina ha una lunga storia alle spalle. La prima volta che hanno suonato insieme è stato vent'anni fa e da allora non si sono mai persi di vista. In Italia abbiamo grandi talenti e Mina ha sempre fatto di tutto per farli emergere. Rea è il miglior accompagnatore sulla piazza. Il trio ha lavorato bene ma ci sono stati problemi durante la registrazione? Hanno fatto tutto rapidamente, hanno scelto i pezzi e sono andati in studio. Sono talmente bravi che il lavoro è stato fatto in grande serenità. E subito si è creato il giusto feeling. Solo un paio di canzoni sono state registrate e poi non inserite nell'album. D'altronde c'era l'imbarazzo della scelta. Perché Mina ha deciso di dedicarsi proprio alle canzoni americane? Perché le ha sempre amate. Veniva da tre album di inediti e aveva voglia di fare un disco a progetto. Mia mamma ha la capacità di interpretare vari generi e ha un amore totale verso la musica. Ha scelto le canzoni che ascolta con più grande trasporto. Dopo «12 - American Songbook» quale altro progetto bolle in pentola? Cerchiamo sempre di alternare un disco di inediti e uno di cover. Per questo Mina ha già iniziato a raccogliere materiale per il prossimo disco di inediti. Mina ha fatto anche tanta televisione. Cosa pensa di quella che si fa oggi e dei talent show? Ha fatto tanta televisione ma quando ha capito che stava diventando un'altra cosa ha fatto un passo indietro. Oggi la tv usa la musica e la drammaturgia del piccolo schermo ha ben poco a che fare con le sette note. Quanto ai talent show, non è così che si diventa musicisti. I ragazzi si inebriano con la popolarità e poi l'anno dopo vengono rincalzati dai nuovi arrivati. La prima a capire che la tv stava cambiando è stata proprio lei.