I vizi e le virtù di un corpo secondo Daniel Pennac
341).Un diario sui vizi e sulle virtù di quello che per alcuni è un contenitore e per altri la prigione dell'anima. Tradotto: quando qualsiasi espressione negativa del proprio corpo diventa un problema (visto che di solito sono soltanto quelli che si ricordano). Un polipo nel naso, un ascesso sul seno o una carie sul dente, sono immagini che svettano nella nostra mentre come dei veri «nemici»: al protagonista dello scrittore francese (cioè lo scrittore stesso) è capitato pure di perdere il lavoro per un tampone mal messo sulla faccia (il gettito di sangue - tolto il tappo, si riversò sul guanto di uno dei sui capi). A parte le secrezioni che ognuno di noi, volente o nolente, sopporta, le note di colore descritte nel libro non mancano. Il protagonista si pesa, metodico, annota la crescita dei propri muscoli, nuota per chilometri per irrobustirsi: il dileggio di fastidiosi secrezioni diventa un inno. Daniel Pennac, scrittore d'Oltralpe, sul tempo che fu la sa lunga. Non poco più di qualche lustro fa scrisse un altro volume su questo genere: lontano dai casi stile «Fata carabina» (saga che gli ha fatto guadagnare successo e fama, un po' thriller un po' giallo com'è), si era gettato a capofitto nei suoi ricordi di scuola, da una parte all'altra della barricata: in quanto studente e in quanto professore. Anche lì di massime ce ne erano a volontà. Come quella di augurare ai suoi «discepoli» una vita piena di «sebbene», accanto ai ricordi delle «guerre» tra i banchi, di amori fugaci, di intense emozioni. Stavolta è tutto da ridere. Pennac su «Storia di un corpo», da poco nelle librerie, ce la mette tutta per mettere i tic del protagonista in ridicolo. In modo simpatico. Il protagonista è scanzonato e pieno d'ottimismo, e spiattella la sua vita (in ogni pagina il giorno, l'età e pure l'orario) senza peli sulla lingua. Di più. Se lo può permettere, visto che è passato a miglior vita e che il famoso diario è ritrovato in una soffitta dalla figlia Lison. Ecco la storia che fa da cornice: la propria bambina che conosce i segreti del padre ma soltanto quando, per lui, non c'è più vergogna nel ricordarli. Le pagine commoventi - macabri particolari sul corpo a parte - non mancano, come quando incontra la «sua» donna, Mona. O quando viene il momento in cui Violette passa a miglior vita. Era la tata di una vita. C'è pure uno sprazzo di politica. Sì, è vero, ci sono i doveri, c'è anche lo studio, ma tutto questo sembra sfiorare appena la star del libro. La descrizione della malattia assomiglia molto a quelle che Roth fa in un libro difficile come «Everyman» (Einaudi). La lettura, piacevole e divertente, scorre senza troppi ghirigori. Simona Caporilli