«Gian Burrasca mito senza tempo»
Ottopuntate in onda a partire dal 19 dicembre 1964. Un successo straordinario che catapultò la cantante torinese, all'epoca diciannovenne, al top degli ascolti tv. Tratto da un romanzo di Vamba (Luigi Bertelli) del 1912, lo show sarebbe dovuto andare in onda nel pomeriggio, ma visto il cast stellare prevalse l'idea della prima serata. Rita Pavone parla volentieri di quella fortunata esperienza, conscia del fatto che non tutti i prodotti tv possano sfidare la messa in onda a distanza di trentotto anni. Signora Pavone, che effetto le farà rivedersi nei panni di Giannino Stoppani, il monello terribile che metteva a fuoco e fiamme il suo collegio? Ne parlavo con Lina Wertmuller, la regista, in occasione della presentazione della sua autobiografia. Devo tutto a lei. Digiuna di teatro e recitazione, affidarmi il ruolo di protagonista, soprattutto dopo che Garinei e Giovannini l'avevano sconsigliata. Fortunatamente non era sola. Accanto a lei recitavano illustri attori di teatro: Arnoldo Foà, Paolo Ferrari, Bice Valori, Ivo Garrani, Valeria Valeri, Milena Vukotich, Elsa Merlini... Già. Per me fu come frequentare un'accademia di recitazione per cinque anni. Oltre al lavoro di Lina, ognuno di questi grandi attori aveva sempre per me un consiglio, un modo di porgere la battuta, una straordinaria capacità di intuire le mie incertezze. La trovata fu quella di proporre uno sceneggiato per ragazzi al pubblico adulto, per di più con una cantante famosa nel ruolo di un adolescente... Non solo. Ma la stessa regia di Lina Wertmuller fu molto innovativa, almeno per quei tempi, fra luci e carrelli, la Valori che recitava in ginocchio, uno stratagemma che Dario Fo avrebbe utilizzato molti anni dopo per «Il Fanfani rapito». Lei era già una cantante famosa, seppur giovanissima aveva già venduto qualche milione di dischi, però non aveva mai lavorato con premi Oscar quali Nino Rota e Luis Bacalov... Rota è stato uno dei massimi compositori del Novecento, eppure non esitò a lavorare con me che cantavo «La partita di pallone». Quando mi fece ascoltare il motivo conduttore dello sceneggiato, «Viva la pappa con pomodoro», ricordo che si trattava di un valzererino, un minuetto, forse il mio pubblico non l'avrebbe accettato. Per fortuna il mio Ferruccio, in arte Teddy Reno risolse il problema... Cioè? Si ricordò di aver fatto un tour con Anton Karas e Lelio Luttazzi nel 1951 sulla scia del successo del film di Orson Welles «Il terzo uomo». Karas ne aveva scritto la colonna sonora, utilizzando lo zither, una particolarissima cetra in cui era maestro. Ferruccio lo chiamò a Vienna, parlarono in tedesco e nessuno capì nulla. Dopo due giorni era a Roma a registrare, imprimendo al motivo di Rota uno stile, una immediata riconoscibilità nel sound del brano. Lei divenne un idolo dei bambini, eppure il racconto di Vamba non è esattamente un libro di avventure... È attualissimo, soprattutto nel presentare un aspetto della società - alludo al cinismo, alla cattiveria, alla falsità - che purtroppo è attualissimo. Pensiamo solo ai bambini, a come vengono sfruttati, maltrattati o peggio, esattamente ciò che accadeva nel collegio di Giannino Stoppani. Credo che molta grande letteratura ritenuta solo per ragazzi sia stata troppo sbrigativamente confinata in un genere assai limitato. Dal punto di vista musicale per lei fu una prova destinata a rimanere isolata, visto che poi tornò al suo repertorio abituale? In quel periodo avevo al n.1 della hit parade «Cuore», con cui ebbi successo anche negli Stati Uniti. Le musiche di Nino Rota erano straordinarie, di una delicatezza fuori dal comune. Musiche che diventavano esplosive sotto i testi della Wertmuller. Rota proponeva spartiti sofisticati, forse pensava ai suoi film o ai suo balletti, magari alle sue esperienze alla Scala, poi arrivano testi che parlavano di cavoli e carote, di zuppe e semolino, visto che i ragazzi contestavano il vitto ed erano sempre affamati. Eppure il tocco del maestro era perfetto. Dica la verità: oggi per una cantante di diciannove anni non è semplice avere al suo servizio quattro premi Oscar, non trova? Certamente. I paragoni sono sempre difficili, oltre che inutili. È cambiato tutto. Lo scenario è diverso, si dovrebbero analizzare pro e contro, anche in quel caso servirebbe a poco. Però il coraggio aiuta sempre. Qualche anno fa un musicista come Lelio Luttazzi si prestò ad accompagnare al Festival di Sanremo una sconosciuta ragazza lucana, Arisa, che poi vinse. Dico questo per dire che forse si dovrebbe osare di più, avere più coraggio, sfidare i luoghi comuni. Mi pare che accada esattamente il contrario.