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Donne con gli occhi di Evita Peròn

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Con le parole d'ordine di sovranità nazionale e giustizia riflettori sulle spose e madri protagoniste della società

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Unaforza fascinatrice che attraversa i decenni e con cui ha dovuto fare i conti, nel 1996, «Evita», il musical di Lloyd Webber e Tim Rice, nella traduzione cinematografica di Alan Parker e con la star Madonna in veste di protagonista: perché, se è vero che esso ha attinto alla letteratura antiperonista, ragion per cui la «regina dei descamisados» ha l'aria equivoca di chi la interpreta, è altrettanto vero che, paradossalmente, quel che resta impresso nella mente e nel cuore è la struggente canzone «Don't cry for me, Argentina», dove Evita conferma l'amore per la sua terra e per il suo popolo. Capita a proposito, dunque, il saggio di Giuseppe Brienza («Evita Perón. Populismo al femminile», introduzione di Carlo Sburlati, I Libri del Borghese, pagine 119, euro 14), che, col sostegno di documenti inediti, disegna un intenso profilo di Evita, mettendone in rilievo l'appassionata battaglia per la promozione della donna. Nello scenario di un'Argentina in cui il peronismo agisce da fermento innovatore, coniugando le parole d'ordine della sovranità nazionale e della giustizia sociale. Con lo sguardo aperto a un miglioramento «rivoluzionario» delle condizioni di vita del popolo, ma anche con un forte richiamo alle radici cristiane. Dunque al modello della donna sposa e madre esemplare: e tuttavia vivacemente presente e operante nel tessuto sociale. Una donna finalmente rispettata nella totalità della sua persona. Grazie anche al diritto di voto, che Perón e la sua sposa hanno fortissimamente voluto. Nulla a che fare, comunque, con un populismo «femminista». Piuttosto un «populismo al femminile». Cosa vuol dire? Per coglierne il senso ascoltiamo quel che dice Perón nel 1944 come ministro del Lavoro del governo Farrell (sarà Presidente della Repubblica due anni dopo): «Nobilitare moralmente e materialmente la donna equivale a dar nuovo vigore alla famiglia. E rinvigorire la famiglia significa rafforzare la Nazione, in quanto essa è la sua prima cellula. Per instaurare un ordine sociale giusto bisogna quindi partire da questa cellula fondamentale, che è fondamento Cristiano e razionale di tutti i gruppi umani». Così parla, a sua volta, Evita, nella «dissertazione» pronunciata alla radio il 27 gennaio 1947: «Il voto femminile sarà l'arma che farà dei nostri focolari il supremo e inviolabile custode di una condotta pubblica. Il voto femminile sarà il primo e l'ultimo giudizio. Non è solo necessario eleggere ma anche determinare la portata dell'elezione. In seno alle famiglie argentine di domani, la donna, con il suo acuto senso intuitivo, veglierà per il suo Paese mentre veglia per la sua casa. Il suo voto sarà lo scudo della sua fede. Il suo voto sarà il testimone della sua speranza in un futuro migliore». Profemminismo? Niente affatto, spiega Brienza, ricercatore presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Roma «La Sapienza» e collaboratore di numerose testate. Evita non intendeva negare, bensì riaffermare in un contesto sociale evolutivo le peculiarità e le prerogative essenziali svolte dalla donna nella famiglia, in netta antitesi con quanto perseguito dal femminismo individualistico e filo-marxista, che avrebbe caratterizzato la società occidentale della seconda metà del XX secolo. Rivoluzione e tradizione, insomma, nel senso di una più ricca ed esaltante rappresentazione della donna, tesa a dare vitalità e «verità» ad un «ruolo» che non solo caratterizza a livello di persona, ma che è socialmente «fondativo» nella continuità delle generazioni. La donna di Evita include tutte le potenzialità femminili alla luce della differenza che si fa complemento e completamento, ed esclude le ideologie della «parità» caricaturale che appiattisce e nullifica. Brienza racconta una donna-donna che, non ancora trentenne, viaggia nell'Europa uscita stremata dalla guerra, portando dappertutto il suo fascino e il suo sorriso e dappertutto accolta ed «onorata come mai era accaduto a nessun'altra donna nella storia». Anche Papa Pio XII le concede udienza, intrattenendosi con lei per trenta minuti - il tempo concesso alle regine, sottolinea Brienza - benedicendola e ringraziandola per l'impegno verso i più poveri. È il 1947. Il destino le riserva cinque anni di vita e una mitica, inestinguibile «aura».

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