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di Lidia Lombardi Dagli spalti di Castel Sant'Angelo il corpaccione della Città Eterna scorre contorto, babelico, fiaccato dal calore.

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Romacapoccia e papalina da qui è un colpo d'occhio. E da qui domani darà spettacolo roboante di sé, con la Girandola, i fuochi d'artificio in onore dei Santi Patroni. Il castello della Tosca omaggia Pietro e Paolo e contemporanemente sciorina i papi di sette secoli, a partire da quel Bonifacio VIII che indisse nel 1300 il primo Giubileo. Perché fino all'8 dicembre una mostra nel Cortile dell'Angelo - il posto più suggestivo del maniero-mausoleo - torna ai pontefici più celebri con dipinti, reliquie, sculture, documenti, oltre che con rarità recuperate dalle forze dell'ordine dopo audaci furti. Per i «Papi della memoria» il curatore, Mario Lolli Ghetti, ha fatto un'operazione intelligente. Di tante opere conservate nei musei romani non ha cercato l'originale, col corollario di privare per sei mesi di pezzi importanti le collezioni permanenti. Invece ha evocato in riproduzioni opere-superstar cento e cento volte esibite e comunque a portata di mano. Poi accanto a capolavori come il Volto di Cristo del Beato Angelico, il ritratto di Sisto IV di Tiziano, quello di Clemente IX del Baciccio - ha esposto pezzi ingiustamente poco noti. Diciamo pure, in alcuni casi opere minori. Però, come l'Italia minore è ricca di rivelazioni, le scelte di Lolli Ghetti frugano nelle pieghe della storia e del costume e danno lo spaccato di quel che succedeva attorno al soglio pontificio. Prendiamo un grande quadro di Giovanni Paolo Panini, giunto dal Museo Capodimonte di Napoli. La scena settecentesca ha come sfondo la coffee-house del Quirinale. E la dice lunga sul cerimoniale dal preciso significato politico della visita di un re a un Papa. Carlo di Borbone scende dal cavallo a un passo dal cardinale che lo accoglie. Un altro porporato fa da filtro e il Papa, Benedetto XIV, attende comodamente seduto in una stanza al margine della composizione. Dall'Archivio Buonarroti di Firenze giunge un icastico documento. Un foglio scritto a penna da Michelangelo nei giorni in cui dipingeva la Cappella Sistina. C'è un sonetto e un autoritratto, uno schizzo nel quale nudo (pare che lavorasse in brache) abbozza col pennello una figura sul soffitto. «E fo del cul per contrapeso groppa...», un verso che compendia la scomoda posizione sopportata alle prese col Giudizio Universale. Ancora la prova di quanto fosse ammirato Michelangelo in un piccolo «Mosè» dal Museo del Bargello che Bartolomeo Ammannati scolpì poco dopo l'impresa di Buonarroti per San Pietro in Vincoli. Oppure la storia raccontata allusivamente in una maiolica attribuita a Nicola da Urbino. Si intitola Cesare che parte da Roma e traspone nella melanconia dell'«esilio» lo choc per il Sacco di Roma del 1527. Sorprendenti certi oggetti decorativi all'interno di dimore romane. Ecco il Ritratto multiplo di Pontefici, da collezione privata: le piccole immagini dei papi sono sistemate tra ghirigori di legno intagliato e alternate a delicati bassorilievi in cera. Del '900 due rarità: uno schizzo di Manzù nel quale lo scultore ritrae se stesso accanto al letto nel quale morì il suo grande amico papa, Giovanni XXIII, e la poltroncina in polistirolo che Pericle Fazzini intagliò per Paolo VI perché avesse di che sedersi quando lo andava a trovare nella cappelletta trasformata in officina dove scolpiva la «Resurrezione» per l'Aula Nervi.

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