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«La polemica è il mio mestiere»

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«L'ignoranza dilaga: negli spettacoli, nelle mostre, nei libri Il segreto per invecchiare bene? Fare quello che piace»

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Dopol'ultimo «America amore», dedicato agli Usa, uscirà in autunno un nuovo libro sul Sudamerica. Apprezza questo omaggio alla sua carriera o prima della cerimonia sarebbe voluto scappare, come al Premio Boccaccio qualche mese fa? «Lì siamo stati due giorni a sentire i discorsi del Rotary locale. Qui è tutt'altra storia e sono in ottima compagnia. Ieri nella seduta conclusiva dell'anno accademico dei Lincei mi hanno anche assegnato il Premio Feltrinelli». Si riconosce nella definizione di Bruno Pischedda che l'ha inserito nel suo libro «Scrittori polemisti»? «Effettivamente sì. Si potrebbe anche dire che sono sempre stato controcorrente e irriverente. Ho cercato la provocazione come spesso accade nei giornali. Mi sembra che siamo in parecchi». Quali sentimenti guidano la sua penna? «L'ironia che è necessaria per l'understatement e la tendenza a rimanere lontano dall'autobiografia perché penso che la malattia e la morte dei parenti siano fatti privati. Attualmente non si tratta che di agonie. Sono perplesso: ci vedo un gusto del dolore, anche da parte del pubblico, che non mi convince. È un racconto personale, non è letteratura! Preferisco fare lo spettatore di mostre o di opere per descrivere quello che vedo e sento». Come sceglie le kermesse culturali alle quali partecipa? «Non posso più seguire tutto come anni fa: cerco di assistere a eventi mai visti in vita mia». Se paragona le attuali edizioni degli spettacoli con quelle del passato, rimane deluso? «Dipende molto dai protagonisti. Se si considera che negli anni Cinquanta alla Scala di Milano c'era la Callas e nei teatri si alternavano Visconti e Strehler, divisi fra prosa e lirica, non è il ricordo a essere mitizzato. Era un'epoca di straordinari talenti, ma anche di facile accesso alla cultura. Noi giovani trovavamo i biglietti per il Loggione della Scala qualche minuto prima della rappresentazione. Le nostre giornate di studenti al Collegio delle Fanciulle, in cui era ambientata la facoltà milanese di Giurisprudenza, trascorrevano a discutere delle proprie passioni: c'erano i maniaci dell'opera lirica che potevano conversare per giorni sulla scelta di Visconti di non far indossare la parrucca al baritono Ettore Bastianini per il ruolo del "vecchio genitor” ne "La Traviata", come c'erano gruppetti fissati col calcio o con le puttane». Il suo libro più recente è «America amore». Perché le piace tanto parlare degli Usa? «Sono arrivato lì nel 1959. Era un momento straordinario: il presidente era Eisenhower. Un clima di piena espansione prima dei Kennedy. Frequentavo i corsi di International Affairs di Kissinger ad Harvard che invitava Schlesinger, Galbraith, sociologi, poeti ed Eleanor Roosevelt, la vedova del presidente». È rimasto amico di Kissinger? «Sì, a lungo. Ci siamo trovati subito d'accordo e poi io lo intervistavo. Ricambiavo quando veniva a Roma, presentandogli l'ambiente de "Il Mondo" di Pannunzio che era un cenacolo fantastico di intellettuali di livello insuperabile. Personaggi come Nicolò Carandini, Sandro De Feo, Achille Battaglia o Maurizio Ferrara non si sono mai più visti». Gli Stati Uniti di oggi la interessano? «Ci vado molto poco e in fretta. Sono stato in autunno a New York: non c'erano avvenimenti culturali di grande importanza. Le retrospettive europee o statunitensi hanno gli stessi capolavori che ho visto tante volte. Accumulo cataloghi che contengono le medesime opere. In più ci sono file e folle immense che vogliono partecipare all'evento per seguire una moda». La sua visione culturale illuminista rischia di scomparire in un'epoca di specializzazioni settoriali? «È il gravissimo problema dei nostri tempi. Ci sono critici di musica contemporanea che non conoscono i compositori dell'Ottocento. Esistono vere ignoranze su aspetti tradizionali che appartenevano alla cultura liceale, il buon livello medio di chi ha studiato, se non il greco, almeno il latino. In passato le riviste di Totò, Anna Magnani e Wanda Osiris parodiavano i testi letterari: oggi nessuno riderebbe. Credo che anche il pubblico dei miei libri sia in diminuzione». A quale tema sta pensando per il suo prossimo saggio? «È un libretto dedicato al viaggio in America Latina che ho fatto nel 2008 perché era il centenario di Lévi Strauss e si ispira al suo "Tristes Tropiques". Sono andato a Buenos Aires, Lima, Montevideo: sono tristi le tribù, ma pure le metropoli. Non c'è paragone col clima allegro di Rio quarant'anni fa, quando andavo ai musei del kitsch locale come quello di Carmen Miranda». C'è un segreto per invecchiare bene come lei? «Fare quello che piace».

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