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di Mario Bernardi Guardi «Maestro, che cos'è il labirinto?».

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«Miguardò» con i suoi occhi vuoti e sorrise. Stavo scrivendo un saggio sulla sua opera e lui aveva accettato di incontrarmi per una conversazione in occasione del viaggio che stava facendo - era il 1977 - alla scoperta dell'Italia. Ed ecco riproporsi la domanda/tormentone che toccava una delle immagini ricorrenti nei suoi libri. Mi rispose: «Il labirinto è ambivalente. Nel labirinto siamo perduti perché in apparenza il labirinto è il "caos". Ma il labirinto ha un suo "cosmos", un suo ordine segreto che guida Teseo al centro del labirinto dove sta il Minotauro. E Teseo lo uccide. Il labirinto è l'idea del caos come di un cosmos segreto di cui possiamo avere la chiave. La chiave è data dal passaggio attraverso le sofferenze, dalla conoscenza e dal superamento del dolore. Il labirinto, dentro il quale sembra di perdersi, è necessario. Come la sofferenza e le prove. Ma lo comprendiamo con difficoltà. Il labirinto è il simbolo di questa difficoltà a trovare chiavi, a capire, a scegliere, a sciogliere i nodi del caos per giungere al cosmos. Anche quando sembra che tutto sia caos». Lo scrittore argentino è stato rievocato in una delle tracce del tema di italiano dell'esame di maturità che sta impegnando gli studenti italiani. Si è chiesto ai diciottenni di esercitarsi appunto sul tema del labirinto, dando loro come spunto brani dall'Orlando Furioso di Ariosto, da Italo Calvino, e appunto da Borges. Allora, cos'è il labirinto? Siamo di fronte a un groviglio di sentieri sprovvisti di un centro, ad uno spazio esistenziale e mistico, a un arduo percorso di liberazione e di crescita. Un grande archetipo da sempre esplorato nella sua complessa tessitura simbolica. E ci piace citare, tra i contributi più significativi, il saggio di Paolo Santarcangeli, «Il libro dei labirinti. Storia di un mito e di un simbolo» (Sperling & Kupfer, 2000) e quello di Paolo Orvieto «Labirinti, Castelli, Giardini» (Salerno, 2004), nonché, per una più vasta panoramica il «Dizionario dei luoghi letterari immaginari» di Anna Ferrari (UTET, 2007). C'è poi da ricordare un film come «Shining», diretto da Stanley Kubrick nel 1980 e in particolare le sequenze finali: il piccolo Danny, dotato di poteri paranormali (shining significa «luccicanza», dunque «veggenza»), riesce a sfuggire al claustrofobico labirinto dell'Overlook Hotel, abitato dagli insanguinati fantasmi di una strage avvenuta anni prima, correndo all'aperto in mezzo alla neve, in un giardino-labirinto formato da enormi siepi. Un intrico che per il padre, l'Inseguitore, posseduto da dèmoni omicidi, significa disorientamento e morte, nella morsa del gelo, mentre per il figlio, l'Inseguito, l'Innocente, il Puro, significa liberazione e salvezza. Insomma, Sapienza divinamente infusa e naturale Innocenza non temono labirinti. Ancora: il labirinto può essere un efficace mezzo terapeutico per l'anima «in sofferenza». Ce lo suggerisce un libro or ora uscito per i tipi delle Mediterranee (R.M. Garutti- A.Pitt- A. Narducci, «Iniziazione al labirinto», pp. 132, euro 7,95), che ci racconta la storia del labirinto, ci ricorda come esso nel mondo antico abbia plurali valenze - «luogo cosmico», prigione, tempio ecc. - ci spiega che, in quanto tale, «comprende» la morte esoterica e la rinascita, ci richiama alla mente come con l'avvento del Cristianesimo e con la fioritura delle Cattedrali il suo percorso-assimilato al «cammino di Gerusalemme» - diventi un viaggio iniziatico - salvifico compiutamente cristiano. E ci offre i mezzi per guarire del nostro «mal di vivere», grazie a labirintici, illuminanti itinerari nella coscienza. Ce n'è quanto basta per innescare l'arma della diffidenza? È vero: il mercato delle terapie medico-iniziatiche New Age è straripante ed è giusto stare in guardia. Non dimenticando, però, che abbiamo a che fare con una idea/immagine potentemente impressa nella nostra storia e nella nostra cultura. A partire dalla tavoletta di Cnosso in lineare B e databile intorno al 1400 a.C., in cui si fa riferimento all'offerta di «un vaso di miele per la signora del labirinto» e a seguire col dibattito sulle etimologie della parola (che i più vorrebbero collegare al termine «labrys», indicante la doppia ascia sacrificale cretese), siamo di fronte a una sequenza sterminata di labirinti. Labirintico è lo scudo di Achille nell'«Iliade»; nel Callimaco dell'«Inno ad Apollo» le volute sinuose della danza di Delo evocano il tema del labirinto; Strabone lo mette in relazione con certe grandiose caverne scavate nella roccia e probabilmente opera dei Ciclopi; Ovidio, nelle «Metamorfosi», lo descrive come «casa molteplice» dagli «inestricabili recessi»; Plutarco, attingendo ad antiche fonti, da una parte ripercorre il mito del Minotauro nel labirinto-prigione, dall'altra - motivo già accennato e che si ripropone negli studi di simbologia - stabilisce un nesso tra la tortuosità del labirinto e le «figure» della danza di Delo. Di labirinti parleranno Isidoro da Siviglia, Boezio, Boccaccio, Cervantes, per arrivare ai romantici del «gothic tale» e ai loro castelli ricchi di passaggi segreti, ai peripli intellettuali di Joyce e Kafka, alle biblioteche di Babele borgesiane, alla oscura, tortuosa abbazia costruita da Eco nel «Nome della rosa». Pur non addentrandosi in questi meandri, il nostro saggio a triplice firma ci insegna tante cose. A disegnare un labirinto come primo passo per crearne uno proprio e per trasformarlo in uno spazio sacro da utilizzare per rilassarsi, meditare, pregare. A riprendere in mano il Gioco dell'Oca della nostra infanzia e a tradurlo in cammino spirituale. A conoscere le tappe e le dinamiche di un viaggio di trasformazione. A «leggere» i Tarocchi utilizzandoli come un ciclo completo di guarigione. A risvegliare poteri e facoltà grazie alle benefiche energie sprigionate dal labirinto. Teseo è vivo e lotta insieme a noi? Col beneficio del dubbio, ovviamente.

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