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di Fabio Perugia Oro blu.

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Ilmondo ha sempre più bisogno d'acqua. E l'acqua è un bene prezioso non accessibile a tutti. Eppure le popolazioni aumentano, i ritmi divengono sempre più galoppanti, l'urbanizzazione di massa è un fenomeno che non sembra arrestarsi. Per capire quanto l'acqua sarà protagonista delle strategie dei governi, basti pensare che oggi oltre un miliardo di persone non ha accesso a quella potabile. Nel 2030 la disponibilità sarà inferiore del 40 per cento rispetto alla richiesta. Come detto, basterebbero le parole «oro blu» per comprendere il valore del bene. Ma quali saranno gli scenari internazionali? Da che parte inizierà a ruotare l'economia dei Paesi emergenti? Ci pensa Giancarlo Elia Valori a disegnare scenari e fornire risposte. Dopo le sue opere sul petrolio e sulle strategie del Mediterraneo, il professore, tra i massimi esperti mondiali della situazione politica ed economica internazionale, analizza la corsa all'oro del nuovo millennio nel suo ultimo libro intitolato «Geopolitica dell'acqua» (edito da Rizzoli). «Sfogliando» il pensiero di Valori, il concetto di acqua viene totalmente rivoluzionato. La sua evoluzione trascina la definizione nel sistema di valori capitalistici e sulla riflessione di quanto conta sul piano sociale questo bene primario. Sopravvivenza e sviluppo si intersecano sull'argomento. Da una parte i problemi per le popolazioni che non hanno (e non ne avranno) abbastanza. Dall'altro la corsa all'approvvigionamento e lo sviluppo di un business che ha ripercussioni sulla tenuta della sicurezza degli Stati. La scarsità d'acqua, infatti, può diventare un elemento di tensione tra i governi. Un esempio, spiega Valori, sono i più di 260 fiumi che passano su i confini dei Paesi. I contrasti diplomatici sono dietro l'angolo, soprattutto in quei territori dove è in corsa un forte aumento demografico, e se nei prossimi dieci anni non verrà concertata una efficace regolamentazione politica volta a garantire la fornitura dell'acqua in un quadro mondiale, il domiinio dell'oro blu rischia di scatenare anche conflitti territoriali, oltre a battaglie economiche, industriali e commerciali. Del resto, come scrive a chiusura della prefazione del libro Antonio Maccanico, «ancora una volta la via di soluzione ottimale degli spinosi problemi è una sola: un salto nella transnazionalità, la conquista di un'autorità transnazionale di regolamentazione e di controllo. Non è una via facile da percorrere, ma la comunità internazionale avrebbe il dovere di tentarla». Tra le regioni più a rischio ci sono tutti quei Paesi che hanno una economia essenzialmente agricola e quindi con una richiesta maggiore (se non massima) di acqua. In tutta l'area del Medio Oriente la disponibilità è di 1500 metri cubi annui a persona, mentre la crescita della popolazione, scrive Valori, è in media del due per cento annuo, ovvero circa sette milioni di persone. «In questo contesto l'agricoltura drena il 90 per cento delle già scarse risorse idriche dell'area lasciando solo il 10 per cento alla popolazione per la nutrizione, l'igiene e il ricambio idrico corporeo. Sulla base dei calcoli più recenti, la media dei 1500 metri cubi per persona all'anno dovrebbero addirittura calare a 500 metri cubi per ogni abitante dell'area nel 2025». Le riserve idriche andrebbero quindi ricercate, per il Medio Oriente, nel Tigri-Eufrate, il Litani, il Giordano e il Nilo. L'approvvigionamento dell'area mediorientale sarebbe quindi sulla carta in grado di fornire acqua alla popolazione, ma peseranno gli accordi tra gli Stati e le possibili tensioni che in questi si accumuleranno. C'è bisogno, dunque, di una geopolitica di forte collaborazione che, se trovasse un punto di incontro su comuni esigenze, potrebbe, al contrario, raccogliere la riduzione dei conflitti postcoloniali. Potrebbero fare fronte comune anche Paesi quali India, Cina e Russia, uniti dalla forte crescita economica e demografica. Va tenuto sotto osservazioni anche il ruolo che l'acqua giocherà nel futuro d'Israle. Il professor Valori, del resto, ha partorito l'idea di scrivere questo libro proprio durante una chiacchierata con il presidente dello stato ebraico, Shimon Peres. Si rischia, in quelle terre, una «tensione idrica» tra Israele, Anp e Giordania, considerando anche che gli israeliani hanno un consumo molto elevato di acqua a confronto dei palestinesi ma si approvvigionano nella Cisgiordania. Per dribblare la dipendenza dalla West Bank, Israele dovrà (in parte lo sta facendo) puntare ai fiumi, all'estrazione e alle alture del Golan virando sul Libano. Scrive Valori: «Oggi l'economia trasforma in merce tutto ciò che serve direttamene alla vita umana. E l'acqua è il bene primario di questo nuovo processo produttivo finanziario globale». La strada è segnata.

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