L'importanza di chiamarsi Hieronymus

HarryBosch era ancora sveglio, seduto in soggiorno al buio per gustarsi fino in fondo il suono del sax (...). Ma dentro di sé conosceva la verità. Stava aspettando. Al telefono era Larry Gandle, il suo supervisore alla Speciale Omicidi. Era la prima chiamata che Bosch riceveva da quando aveva cambiato sezione. Esattamente quello che stava aspettando». Queste sono le prime righe della «Città buia», uno dei circa trenta libri firmati da Michael Connelly e che hanno avuto tanto successo. Già da queste poche righe si capisce il perché: Connelly è irrimediabilmente figlio del noir dei romanzi di Dashiell Hammett, verso la fine degli anni venti, e che ebbe il suo naturale erede in Raymond Chandler nei tardi anni trenta. Un tipo di letteratura che sa di blues e di zolfo. Ma Connelly non si accontenta di essere figlio, e vuole esserlo «a modo suo». Prima giornalista (sulla strada per anni, tra poliziotti, medici legali e cadaveri), scrive con una conoscenza hard boyled delle procedure e dei metodi di polizia e malavita. Un altro brano dalla «Città buia»: «Il Dipartimento di Polizia di Los Angeles era composto da diciannove divisioni territoriali, ciascuna con la propria stazione di polizia e un ufficio investigativo, squadra Omicidi compresa. Ma le squadre territoriali, sempre in prima linea, non potevano impantanarsi in casi che si prospettavano lunghi e faticosi...». Nasce così il più dark dei detective «made in Usa»: Harry Bosch, uno che aveva la mamma appassionata di Hieronymus Bosch, pittore olandese del Cinquecento. Lui, Hieronymus, dipingeva un mondo invaso dai demoni. Come la Los Angeles dei giorni nostri. Antonio Angeli