Un puzzle chiamato Michelangelo
«Èun po' caro, ma è proprio bravo», avrà detto una dama al marito il quale, ovviamente, in quel buco nel muro del cortile avrebbe piazzato un sasso qualunque. E invece, dopo tante avventure che si possono solo immaginare, nel cortile di Michelozzo in Palazzo Medici Riccardi a Firenze, c'è finita una mattonella «firmata» da Michelangelo. Ieri la rivelazione, in un'affollata conferenza nel cortile, davanti ad uno dei «cartelloni», un insieme di bassorilievi uniti da una cornice di stucchi, con gli storici dell'arte Gabriele Morolli e Alessandro Vezzosi, tutti «ospiti» della Provincia di Firenze che ha seguito con attenzione questa ricerca. La «lastrina» è intitolata «Venere e Amore» e raffigura l'abbraccio di una donna nuda con un bambino. Come hanno spiegato i due studiosi, l'opera presenterebbe «incredibili affinità con numerose altre opere dell'artista», da qui l'ipotesi di attribuzione. La composizione, l'iconografia, i riferimenti letterari, l'altissima qualità, la tecnica e lo stile della scultura, i confronti e le coincidenze con le opere di Michelangelo, rendono «l'attribuzione di questa formella al grande maestro fiorentino molto più che un'ipotesi», ha detto Vezzosi, intervenuto con Morolli a Palazzo Medici Riccardi per la presentazione dello studio sull'opera, insieme al presidente della Provincia di Firenze, Andrea Barducci e alla soprintendente del Polo Museale, Cristina Acidini. Quasi al centro di questo cartellone, collocato sulla parete meridionale del cortile, esattamente quella verso l'angolo occidentale, il piccolo rilievo marmoreo «rivela la sua natura rinascimentale, benché sia stato inserita fra reperti in marmo greci e romani», ha spiegato Vezzosi. Sì perché la donna con il bambino, tema caro al Buonarroti, sarebbe stato eseguito come un «falso-antico», un «gioco» nel quale Michelangelo era un maestro. Cauta la soprintendente del Polo museale, Cristina Acidini: «È una ricostruzione interessante che rende possibile un approfondimento», ha detto. L'«avventura» di quest'opera risale all'epoca nella quale i Riccardi acquistarono, nel 1659, il Palazzo Medici di Cosimo il Vecchio in via Larga, capolavoro del XV secolo: nel primo Cinquecento lo aveva studiato Leonardo e Michelangelo invece qui aveva lavorato. La lastrina, rotta in più frammenti in epoca imprecisata, fu ricomposta e incastonata nell'attuale cornice forse prima del 1715, sicuramente prima del 1719, anno dell'ultimo pagamento dei lavori eseguiti dall'architetto e scultore Giovan Battista Foggini e dai suoi allievi per i Riccardi. L'opera di marmo misura attualmente cm 43,5 per 58, mentre, ha ricostruito Gabriele Morolli, le misure presumibilmente originarie dell'opera, di cui oggi non si vede il termine a destra, potevano raggiungere una larghezza di 67-68 cm; l'altezza doveva essere di poco superiore a quella attuale. Una misura «non fiorentina», ha chiarito Morolli, usata da Michelangelo in quanto diviso nella sua vita artistica tra Firenze e Roma e più tendente alle proporzioni «musicali» 2 a 3. Il rilievo rinascimentale è stato denominato «Venere e Amore» dopo una ricerca che ha permesso di individuare chiari parallelismi e convergenze con i caratteri di molte opere di Michelangelo, a partire dal contrasto tra il levigato, il ruvido e il non finito. La formella Riccardi potrebbe anche essere la versione scultorea della Venere e Cupido «disegnata da Michelangelo e colorata da Pontormo», ideata dal Buonarroti tra il 1532 e il 1533 per la camera di Bartolomeo Bettini e rielaborata negli anni in almeno sedici dipinti identificati e in altri sedici documentati, oltre a disegni e cartoni, da artisti come Agnolo Tori, detto il Bronzino, e Giorgio Vasari. L'ipotesi di attribuzione a Buonarroti è stata avanzata per la prima volta da Gabriele Morolli e Alessandro Vezzosi nel recentissimo volume «Michelangelo Assoluto», edito da Scripta Maneant (Reggio Emilia, 2012), a cura dello stesso Vezzosi, con introduzioni di Carlo Pedretti e Claudio Strinati, contributi (oltre che di Morolli) di Lucilla Bardeschi Ciulich, Rab Hatfield, Marina Mattei, con foto di Aurelio Amendola. Il dibattito sulla nuova opera di Michelangelo è aperto.