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Sacha Baron Cohen La faccia di gomma che inchioda Saddam

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Eancora l'improbabile gangsta rapper autore di «brillanti» interviste ai vip di tutto il mondo. Mescolare con cura e aggiungere una buona dosa di irriverenza, egocentrismo e follia: la comicità contagiosa di Sacha Baron Cohen è servita. Al suo fascino non hanno resistito neppure mostri sacri come Scorsese e Madonna che lo hanno voluto rispettivamente nel video di «Music» e come protagonista del recente «Hugo Cabret». Vederlo in slip nei talkshow in cui è invitato non fa quasi più notizia e le ex veline di mezzo mondo fanno la fila per farsi fotografare con lui sugli yacht ormeggiati nelle baie davanti ai festival più glamour d'Europa. Ora è il turno degli impostori africani e di quelli del Golfo che nascondono la loro crudeltà dietro un dito. Democrazia dileggiata e brama di travolgerla è quello che appassiona il generale Aladeen nel nuovo film «Il dittatore». È davvero cattivo e contro tutto e tutti il personaggio che anima il film diretto dal regista Larry Charles. Perché, come capita quando la comicità non è stupida, non risparmia davvero nessuno. Non solo, ovviamente, l'anti-democraticità dei dittatori tutti petrolio, ricchezza, barbarie e armi nucleari nei granai, ma anche il loro contrario. Ovvero quegli stati democratici che solo apparentemente sembrano essere l'opposto. Un solo esempio. Quando il dittatore, ovvero l'Ammiraglio Generale Haffaz Aladeen dello stato nord africano di Wadiya e dittatore disposto a tutto pur di schiacciare ogni forma di democrazia, parla all'Onu, in tutti i particolari, di cosa sia davvero una dittatura, sembra stia descrivendo qualcosa di non molto lontano dalla democrazia Usa. E così, nell'assemblea riunita delle Nazioni Unite, più di uno si ritrova in un certo imbarazzo. Se c'è una cosa che non risparmia Baron Cohen è proprio l'atteggiamento «politically scorrect». Insomma dopo il ruolo di Borat, kazako sorpreso dai costumi americani, e di Bruno, giornalista di moda omosessuale, Baron Cohen mette su un personaggio che è una sorta di miscuglio tra il colonnello Gheddafi e Saddam Hussein. Uno nato già con barbone d'ordinanza e che indossa sempre la sua vistosa uniforme militare piena di medaglie. Un dittatore, comunque, al quale non mancano, allo stesso tempo, spirito e ingenuità. Campione nel suo Paese di tutto il possibile (una delle scene più belle è la sua gara dei cento metri in cui arriva primo dopo aver sparato a tutti i possibili contendenti che si ritrovano sulla sua scia), Aladeen, dittatore che crede, più che nel suo Dio, nelle bombe atomiche, un nemico ce l'ha. E lo ha in casa. Ovvero il consigliere e zio Tamir (Ben Kingsley), capo della polizia e procacciatore personale di ragazze. Sarà proprio Tamir a utilizzare un sosia del dittatore per aprire finalmente al business, in tutte le sue forme, l'integralista stato nordafricano di Wadiya. Comunque, quando si ritrova a New York per cercare di sventare questo complotto, il vero Aladeen, si imbatte, come per una legge del contrappasso, in una donna (Anna Faris) la più lontana possibile da lui. Si trova infatti ad avere una relazione con Zoey, una ragazza non solo pelosa e in odor di omosessualità, ma anche altruistica proprietaria del Collettivo Terra Libera, negozio molto alternativo di cibi organici a Manhattan. Tra le frasi cult del film, scritto dallo stesso Baron Cohen, Alec Berg, David Mandel e Jeff Schaffer, quella che dice il dittatore appena sbarcato negli Usa: «L'America? Un paese costruito dai neri e di proprietà dei cinesi». Come dargli torto?

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