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Le legioni di Cesare nel Terzo Millennio

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Tanti romanzi e saggi sull'antica Roma Lo scrittore Frediani: «C'è voglia di eroi»

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Perché?«Tra gli addetti ai lavori, ciascuno ha una sua opinione al riguardo. La mia è che c'è una gran voglia di eroi. Poiché non riusciamo a rintracciarne tra i personaggi che ci dovrebbero rappresentare, ce li andiamo a cercare nel passato, nei periodi in cui i nostri avi hanno dato il meglio. L'anno scorso siamo andati, per ovvi motivi, a recuperare Garibaldi & Co, nel Risorgimento, ma già da qualche tempo il pubblico si è accorto di poterne trovare parecchi nell'antica Roma». Cosa la appassiona dell'Era Imperiale? «Anzitutto la sua longevità. Nessuno ci fa caso, ma Roma, attraverso le sue varie reincarnazioni in regno, repubblica, impero romano, impero bizantino, è stata l'impero più longevo della storia, se consideriamo la sua parabola dalla nascita dell'Urbe (753 a.C.) fino alla caduta di Costantinopoli (1453), per un totale di oltre due millenni. In particolar modo, l'impero da Augusto in poi ha saputo sempre trovare uno formula per la sopravvivenza, a dispetto dei conflitti tra imperatori e senato, della follia e dell'incapacità di certi sovrani, dell'instabilità politica, delle guerre civili e delle infiltrazioni barbariche. L'impero romano mi piace perché non ci sono tempi morti: agli occhi di uno studioso, ogni periodo e ogni aspetto vale la pena di essere approfondito». Lei è un grande esperto di strategie militari, ma la Storia è fatta solo di battaglie? «La storia è fatta soprattutto di uomini. Uomini singoli. Io non sono di quelli che sostiene che sia fatta dalle masse. Le masse sono mosse da uomini tenaci, alle volte folli nella loro ambizione, o da geni capaci, con le loro idee, di modificare col tempo una civiltà. Alcuni di questi uomini hanno sognato di conquistare il mondo intero - desiderio puerile e infantile, bisogna ammetterlo. Nella Roma antica un uomo politico si faceva un esercito personale e cercava di conquistare il potere a suon di combattimenti e assedi. Gli stati si sono formati con le battaglie, soprattutto, per quanto dispiaccia ammetterlo: accettare una scomoda verità come questa non significa necessariamente essere dei guerrafondai, ma anzi consente di analizzarne i motivi per trovare un modo di prevenirne le conseguenze». Il suo ultimo «La Dinastia», sui cinque imperatori giulio-claudi, sta avendo un grande successo. Ci parli di questo grande romanzo storico. «La Dinastia è il mio primo romanzo che non abbia una guerra o una battaglia come sfondo o come tema principale. Ho dovuto concentrare un secolo di densissima storia romana in un libro, che ospita una miriade di protagonisti più o meno conosciuti anche al grande pubblico. Uomini abili come Augusto e Tiberio, folli o solo immaturi e inadeguati come Caligola e Nerone, sfortunati come Druso e Germanico, e donne, geniali come Livia o Antonia. Le fonti, per quanto incomplete e parziali, e i personaggi legati a quella che probabilmente è la dinastia più importante della storia occidentale, erano un'infinità, e non potevo permettermi di trascurare certi aspetti, periodi o personaggi, ma neppure dare a tutti lo stesso spazio, senza confondere il lettore. Gli episodi e i protagonisti interessanti e avvincenti di questo periodo sono talmente tanti che ne sarebbero venuti venti romanzi almeno. Allora, alla fine ho scelto di scrivere il romanzo a episodi, come se fosse la sceneggiatura di un serial TV. Ho scelto di dare abbastanza credito ai pettegolezzi perché, come vediamo anche oggi, in fatto di politica, spesso, dove c'è fumo c'è anche un po' di arrosto». La Dinastia segue la trilogia su Cesare «Dictator», come si collegano le due opere? «Entrambe si collocano nel periodo più delicato della storia romana, nel passaggio dalla repubblica all'impero. Manca la parte in mezzo, quella che parte dalle idi di marzo, ovvero la morte di Cesare, e arriva alla battaglia di Azio tra Ottaviano e Agrippa da una parte, e Antonio e Cleopatra dall'altra, che pone fine alle guerre civili. Con la Dinastia, ho voluto partire dal dopo Azio per incentrare il focus sulla dinastia, e non su Augusto. Ma il periodo intermedio non è certo meno interessante…». Lei è anche un apprezzato saggista... Meglio i saggi o i romanzi? «Ho iniziato con i saggi e poi, molto prima di quanto auspicassi, il mio editore, che non finirò mai di ringraziare per questo, mi ha dato l'opportunità di scrivere romanzi. Entrambi assecondano il mio obiettivo di divulgare la storia, di far capire anche a chi, traumatizzato dalla sequenza di date e dati che gli propinavano a scuola, non se ne interessa».

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