di Simona Caporilli Pantaloni e giacca, un top colorato e tacchi alti.
Èil festival con la direzione artistica di Maria Ida Gaeta che la vedrà protagonista stasera alla Basilica di Massenzio. Luisa Muraro divide con lei la serata. Sulle note del piano di Gazzara, l'attrice Iaia Forte leggerà brani già editi delle scrittrici. Sophie Kinsella, inglese, classe 1969, ha venduto oltre 20 milioni di copie con «I love shopping», la serie che vede protagonista Rebecca Bloomwood. Simpatica, innamorata e un po' goffa, è alle prese con le banche che la inseguono, con i conti in sospeso, con i debiti nei negozi di grandi marche. Madeleine Wickham, nella saga di «I love shopping» - con le gesta di una ragazza divisa tra il grande amore della sua vita e il tic per lo shopping - siamo arrivati a «I love mini shopping». Dopodiché al di fuori dell'epopea è uscito «Una ragazza da sposare» (Mondadori). Ma che fine ha fatto la protagonista Rebecca Bloomwood? «Rebecca Bloomwood è viva e sta benissimo, grazie. Non vi preoccupate. In questo momento non sto scrivendo di lei ma ho in mente di scrivere un nuovo libro (e su di lei) in futuro. In questo momento della mia vita? Spero presto di poter rientrare nel suo mondo e di dire: "Salve, come va?". E così riprendere la sua storia da lì». Nonostante sia benestante, Rebecca utilizza carte di credito su carte di credito, le congela in frigo, visto mai ce ne fosse la necessità. Percorre le vie dello shopping, va a caccia dell'ultima (pur sempre imperdibile) offerta. Ma quella dello shopping lei la considera una malattia? «Secondo me - come in tutte le cose - anche nello shopping c'è una vasta gamma di tipologie. Quindi ci sono anche gli estremi. Un estremo è... Be', quando diventa un problema serio. Quasi una malattia, come lei ha detto. Qualche cosa che comunque si impadronisce della nostra vita e in fondo è una cosa triste. Una cosa brutta. All'altro capo, all'altra estremità, c'è quel tantinello, quel filino di dipendenza che in fondo abbiamo tutti e ci possiamo anche ridere su perché, tutto sommato, il controllo non lo abbiamo perso, lo abbiamo conservato sempre e comunque». E Rebecca? «Rebecca secondo me si trova nel giusto mezzo. Nel senso che ha una posizione abbastanza equilibrata. E penso che alla fine lei... Penso che alla fine lei stia dalla parte giusta». Lei ama il lieto fine. Anche in «Ti ricordi di me» e «Ho il tuo numero» tutto si risolve per il meglio. Qual è il suo scrittore di riferimento? «Per me il più grande modello letterario è sempre stata Jane Austen. Se lei ci fa caso, in tutti i romanzi della Austen tutti hanno comunque un finale che soddisfa e gratifica il lettore. Io non penso necessariamente che tutti i miei eroi e le mie eroine debbano finire sposati con un forziere pieno di dobloni e abitare in un palazzo e in uno scenario da favola. No. Non è necessariamente così. Però mi piace che nelle vicende che scrivo ci sia una soluzione. Che si snodino, che si sciolgano. E penso che anche il lettore lo meriti. Voglio che il mio lettore, alla fine della lettura, sia sia contento e soddisfatto. Perché io scrivo anche per intrattenerlo». Lei è un'intenditrice di moda per signore. Cosa non può mancare nell'armadio di una donna? «Un bel paio di scarpe. E quindi la risposta è semplicissima. E, perciò, non occorre che abbiano i tacchi. È sufficiente che sia il paio di scarpe giusto per chi le deve portare». La questione della sciarpa di Rebecca commuove il lettore. È grazie alla sciarpa che conquista Luke, il suo principe azzurro, quando la mette all'asta per ripagare i debiti. Le viene acquistata e recapitata direttamente dal suo «lui». Lei ne possiede una uguale? «Per me le sciarpe sono sempre state l'oggetto del desiderio. E una sciarpa come quella di Rebecca? Sì che ce l'ho, è una sciarpa che sono uscita a comprarmi quella volta che ho avuto il primo impiego come giornalista. Mi sono voluta dare un premio. E sono uscita a comprare questa sciarpa». Di cosa parla «Giocare ad armi pari», l'inedito che presenterà stasera a Letterature nella Basilica di Massenzio? «Come prima cosa voglio ringraziare di essere qui in questa città meravigliosa. Tutto ha inizio con le fotografie fuori di qui, in questo posto fantastico, tra le arance che pendono dagli alberi. Il racconto? Tratta di una partita a tennis. Le due persone che giocano sono vestite in maniera normale, e la partita si svolge così e così. Il tutto sullo sfondo di una bella residenza di campagna. Nessuno ci pensa, ma nel gioco c'è anche una componente di ostilità. Il tutto non avviene mai in maniera civile come sembrerebbe in apparenza. Il tutto esemplifica una certa condizione umana. Spero di essere riuscita a scrivere qualcosa di divertente, qualcosa che tocchi anche la corda comica».