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di Lidia Lombardi Carlo Pedini, a dispetto delle apparenze, è il candidato più eccentrico del Premio Strega 2012, che domani in casa Bellonci vara la cinquina dei finalisti.

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Ha56 anni, parla pianamente e pianamente si veste, camicia bianca senza cravatta, giacca grigia, pantaloni in tinta. Insomma né il giovane bello e rampante alla Paolo Giordano, né una dark lady inquietante come Isabella Santacroce (esclusa però dai dodici aspiranti) né un bestsellerista alla Carofiglio o alla giovane Ghinelli. Allora, perché è eccentrico, Pedini? Intanto perché è un musicista che si è prestato solo ora alla letteratura dopo aver vinto concorsi per opere sinfoniche e da camera ed aver composto la Missa Solemnis Resurrectionis del Giubileo. Poi perché la sua opera prima, La sesta stagione, edito dalla romana Cavallo di Ferro, è un tomo di 700 pagine, quasi capace di scoraggiare, per mole, i 400 Amici della Domenica che con i 60 lettori «forti» indicati dalle librerie indipendenti devono leggersi 12 romanzi per scegliere il vincitore. La sesta stagione comincia nel 1934 in un paesino della Toscana e seguendo la vita di tre preti attraversa Fascismo, Seconda guerra mondiale, Sessantotto e Anni di piombo. Pedini, ora i romanzi si esauriscono spesso in un centinaio di pagine, massimo duecento. Lei ne ha scritte più del triplo. «La sesta stagione» è forse il libro più lungo mai candidato allo Strega. Non me lo sono chiesto. E comunque accetto la sfida. La prima versione era di 900 pagine. Poi con l'editor abbiamo condensato. Operazione che gli ha fatto bene. Ma perché un'opera così articolata? Oltre che compositore sono lettore accanito. Amo Umberto Eco e ho riflettuto a lungo sulle postille a Il nome della rosa. Il semiologo osserva che il romanzo è un genere finito con le grandi opere del secolo scorso, dunque l'etica e l'estetica di chi vuol fare narrativa non può che indurlo a rivisitare i capolavori del passato. Come del resto ha fatto lui: il suo best seller è una sequenza di citazioni. E come ha messo in pratica il suggerimento di Eco? Instaurando un parallelismo tra la letteratura e la musica. Il compositore segue un modello preciso. La sinfonia per esempio ha un canone che fissa le caratteristiche della parte iniziale e di tutto il resto. Così ha ingabbiato l'opera letteraria. Ho ipotizzato che un romanzo importante faccia da modello a un altro. Stessa forma, contenuti diversi. Lei che esempio ha scelto? I Buddenbrook di Thomas Mann, perfetto per sviluppo ed epilogo della vicenda. Racconta, in undici capitoli, crisi e disfacimento di una famiglia. Io con lo stesso andamento di rallentamenti o accelerazioni seguo il disfacimento di una comunità, quella di Civita Turrita, paese immaginario tra Arezzo e Sansepolcro. Il crepuscolo della comunità locale coincide con quello della Chiesa, che non ha saputo mettere a frutto il Concilio Vaticano II. Ma l'intelaiatura tanto rigida non nuoce all'ispirazione? Non mi risulta che il mio «esperimento di composizione» sia spiaciuto ai lettori. Ed è piaciuto a una fine scrittrice ed editrice qual è Romana Petri. Quanto ha impiegato a scrivere «La sesta stagione» e quanto a pubblicarlo? Otto anni per finirlo perché ha richiesto un grosso lavoro di documentazione, includendo personaggi realmente vissuti, come Paolo VI e Giovanni XXIII. O fatti drammatici, come il bombardamento di San Lorenzo, a Roma. Quasi niente ho atteso per pubblicarlo. Ho chiesto consiglio alla Petri, che conoscevo, e lei lo ha subito messo in stampa. Peraltro con il titolo voluto da me. Perché ha scelto i preti come protagonisti? Anche questo non è comune nella narrativa italiana di oggi. Ne ho conosciuti parecchi, mi hanno anche fornito documenti per sviluppare il plot. Sono cattolico e li guardo con interesse, anche sociologico. Ho visto la loro solitudine, che attanaglia molti nel punto di morte. E mi ha colpito la distanza siderale che intercorre tra un parroco di provincia e la Curia, tra il piccolo prete e un cardinale che agisce in Vaticano. Lei rappresenta la crisi della struttura temporale della Chiesa. Quasi con il sentore delle ultime vicende inquietanti, dall'affaire Ior a Vatileaks. Me ne rendo conto. Se c'è critica però viene dall'interno, da un credente quale sono. Del resto Benedetto XVI ha detto recentente che "la chiesa sta vivendo un momento drammatico". Anche l'epilogo, con il crollo per un terremoto della torre campanaria di Civita Turrita, sembra anticipare le immagini del sisma in Emilia. Alla terra che trema può seguire una rinascita o la fine totale di una comunità. Quella del mio libro subisce appunto questa altalena. Una conclusione amara. Ma talvolta il Padreterno ci mette le mani. Spero accada ora. Un altro libro dilatato su mezzo secolo di storia italiana ha trionfato due anni fa allo Strega, «Canale Mussolini» di Antonio Pennacchi. Un bel libro. Del resto quelli che hanno vinto le recenti edizioni del chiacchieratissimo Premio mi sembrano appunto i migliori in gara. Io, nella gara, mi ci butto con serenità.

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