di Paola Pariset «La musica è l'esperanto celeste», parola del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura che ieri si è incontrato con la...
Undialogo di altissimo profilo culturale tra due grandi che hanno, come punto di assoluta unione, l'assoluta vicinanza tra fede e musica. L'alto prelato ha iniziato ricordando l'origine della musica: «Apollo che pizzicava le corde tese su un guscio di tartaruga, la musica che non è solo bellezza e dolcezza, ma contiene anche il dionisiaco, il terrore, il dolore, che può condurre anche alla perdita d'identità della persona». Per Muti la musica è emozione, ma anche tecnica e parla di quella contemporanea e di quella del passato. «Con la musica di Mozart o Schumann - spiega il Maestro - gli animali fanno le uova. Con altra musica fanno altre cose... magari della ricotta». E poi Muti parla del «suo» Verdi vilipeso: «Gli hanno tirato la giacca in ogni modo - afferma - lo hanno chiamato ateo, agnostico, ma non è nulla di tutto questo. Anche nel dubbio c'è la fede - aggiunge - La fede non è un sentimento monolitico. Il percorso verso il sacro e Dio è tormentato...». Insomma la fede è lastricata di dubbi e Muti cita il Requiem e il Te Deum di Verdi. L'uno che termina nella luce e l'altro che piomba nell'oscurità. Il Maestro Muti ama Verdi e il Teatro dell'Opera e ne è ricambiato: alla fine dell'ultima rappresentazione del «Macbeth» di Verdi, il 9 dicembre scorso, lo scenografo Maurizio Varamo fece calare giù dal Palco Reale uno stendardo, su cui egli aveva dipinto la frase «Maestro Muti, questo Teatro ti ama». E Muti, che col tempo ha cominciato ad amare questo Teatro a sua volta, specie ora che – dopo avere infinite volte rifiutato di accettarne la direzione musicale stabile - ha infine accolto la nomina di Direttore Onorario a vita del nostro ente lirico, ha trovato anche il modo di dedicare ad esso e alla città forse più di quanto pensassimo. Ha condotto con sè in aprile al Teatro dell'Opera la Chicago Sumphony Orchestra, di cui dal 2010 è direttore stabile, per aprire ad un confronto musicalmente proficuo due realtà diverse, ma in cui egli ha già scavato un solco profondo, dando un respiro, quasi un colore italiano alla celebre e stupenda orchestra americana. Ed il 24 maggio Muti si è recato all'Università la Sapienza, per presentare nell'Aula Magna agli studenti – muti come pesci alla parola e alle note suonate dal Maestro – l' «Attila» di Verdi che egli stava dirigendo al Teatro dell'Opera e di cui questa sera si allestirà l'ultima replica. L'incontro di ieri del Maestro con Monsignor Ravasi era iscritto nel calendario del progetto concordato col Teatro dell'Opera «Una porta verso l'Infinito: l'Uomo e l'Assoluto nell'arte», ideato dall'Ufficio Comunicazioni Sociali del Vicariato di Roma diretto da Walter Insero, in collaborazione col Pontificio Consiglio della Cultura, di cui è Presidente lo stesso Monsignor Ravasi. L'incontro era moderato dal direttore del quotidiano Il Messaggero, Mario Orfeo. Gianfranco Ravasi, nato a Lecco nel 1942, consacrato arcivescovo nel 2007 e nominato cardinale nel 2010, presidente anche delle Pontificie Commissioni per i Beni Culturali della Chiesa e di Archeologia Sacra, biblista ed ebraista, autore di ben 150 volumi, specialista della «Parola» e della valenza poetica dei testi sacri, ha curato «Il Mattutino» dalle colonne del quotidiano L'Avvenire ed è convinto sostenitore del dialogo fra etica laica e morale religiosa. E la musica, come entrambi gli interlocutori ammettevano, è l'unica arte immateriale, la più vicina all'infinito. Per dirla con Schopenhauer, essa va «oltre le idee». È oggettivazione dell'intera volontà di vita e coglie in definitiva l'essenza stessa dell'Universo. Per la religione cristiana, la Fede è la prima delle tre Virtù Teologali e consiste nell'assenso della Ragione sotto l'influsso della Grazia alle verità da Dio rivelate, ed è definita da Dante nel 24° canto del «Paradiso» «fede e sustanzia di cose sperate», avvicinando anch'essa, come la musica, a Dio. Muti tuttavia, a differenza del teologo Ravasi è uomo concreto. L'infinito per lui è lì, nello spazio che separa una nota dall'altra, perché immenso è quello spazio, dilatato come lo vedono e lo teorizzano i compositori d'oggi, per i quali il tono chiuso e la singola nota non esistono più, e il suono si distende, si dilata nell'immensità dello spazio. L'infinito è per Muti la molteplicità innumere delle variazioni, delle sfumature dello spirito umano a contatto con la partitura, cioè con la parola del compositore, e sacro e definitivo ne è il messaggio umano. Miracolosa è la capacità con cui Verdi nell'«Attila» rende timbricamente la vibrazione delle acque delle rive adriatiche, e questa anche è Fede.